Did you think I’d crumble? Did you think I’d rabarberpaj? Oh no, not I, I will survive! Lagom e rabarbaro.

No invece “Oh yeah, I”, ma mi piaceva che rabarberpaj ci stesse così bene in metrica, e poi il gioco di parole con crumble, insomma… No è vero che se spieghi le battute o le rovini o significa che non erano divertenti già da prima (come questa), ma tant’è, non avevo pensato a titoli migliori.

Ariecchime con mesi di ritardo, as usual. Sono incostante. Sempre stata. Vi rivogo sempre le solite scuse, ma la verità è che sono incostante.

Però torno con il botto, perché ho fatto la rabarberpaj, che non avevo mai neanche assaggiato, figuriamoci cucinato, e oh, è BONA! Forse ho ecceduto con la cannella e sapeva solo di cannella, ma se voi evitate di farvi prendere dall’entusiasmo e ce ne mettete meno penso rimarrete piacevolmente stupiti da questo dessert.

Innanzitutto da quando sono emigrata in Sverige ho scoperto diverse cose, tra cui che il rabarbaro è una pianta. Scegliete pure il vostro commento a questo fact of the day:
a) Nooo ma dai, è una pianta?
b) Grazie al cazzo, mi ci volevi te

Oh, io non lo sapevo e non me ne vergogno. Έτσι, δεν γνωρίζω.

Rabarbaro

Rabarbaro

L’unica cosa più vicina al rabarbaro che avevo mai avuto il dispiacere di assaggiare da piccolissima erano delle caramelle che piacevano tanto a mio babbo ma che secondo me sapevano di cerume, e quindi non mi ero poi più interessata alla faccenda.

Comunque sia, è una pianta erbacea perenne, di cui si mangia il picciolone rosso. Fate conto di avere un sedanone rosso. Quello è il rabarbaro.
Pare abbia proprietà digestive e purificanti. Si possono mangiare anche le foglie come succedaneo degli spinaci (non è una bellissima parola, “succedaneo”?) ma l’uso è fortemente sconsigliato (da Wikipedia, almeno, da dove proviene la mia scienza) perché pare contengano un casino di acido ossalico che fa venire cose simpatiche come irritazioni intestinali e calcoli renali (e qui si torna al mio odio per le cugiate del “naturale fa bene”, al centro di buona parte dei miei folli sproloqui).

Il dolce è un crumble, che in svedese si dice smulpaj, ovvero, per voi digiuni di Masterchef, una base di frutta cosparsa con un impasto friabile che durante la cottura diventa croccante mentre il sotto resta morbidoso e marmellatoso (per soddisfare la vostra curiosità sull’argomento “cose svedesi uguali a cose americane ma con nomi viKinghi invece che anglosassoni”, leggete qui).

È un dolce molto buono, se non altro perché è dolce.
Mi spiego meglio: la cioccolata sa di cioccolata, le fragole sanno di fragole, e via dicendo con altre tautologie. Se vi dessi un pezzo di kläddkaka riconoscereste la cioccolata, se ve ne dessi uno di jordgubbstårta riconoscereste le fragole, etc.

Bene, il rabarbaro secondo me non sa di un cazzo.

Con questo non voglio parlar male del mio dolce, eh, che è venuto buonissimo, ma ecco, si sentiva lo zucchero, il burro, cannella, la vaniglia della vaniljsås con cui ho cosparso il dolce, etc. Ma il sapore del rabarbaro, se proprio dovessi descriverlo, dé… non l’ho capito molto bene.

Non stucchevole, ovviamente non salato… direi lagom.

E voi direte, e che minchia è lagom?
È IL concetto svedese. Talmente intrinsecamente legato alla cultura viKi che mi meraviglio di non avervene ancora parlato, probabilmente perché io sono la persona meno lagom del pianeta.

Lui non sta bevendo lagom

Lui non sta bevendo lagom

Etimologie popolari vedono in lagom una contrazione da laget om, originariamente “intorno al gruppo”: i Vichinghi (quelli originali, infatti lo scrivo senza la K) si sedevano in cerchio e bevevano idromele da un pittoresco cornino, lagom era la quantità giusta da bere per non fare le bestie (lo si sa, come ci tenevano all’etichetta i Vichinghi, nessuno mai).
In realtà, fidatevi della linguista, l’etimologia deriva da un arcaico dativo plurale della parola lag, “legge”, traducibile con “secondo la legge [comune]”.

Si può tradurre in italiano con “abbastanza“, “medio”, “sufficiente”, “equilibrato” e corrispettivi avverbi. Né troppo né troppo poco, quindi.

Ma troppo o troppo poco di cosa?

Di tutto.

È un concetto filosofico difficilmente traducibile in italiano. ‘Morigeratezza’ dà più l’idea di qualcosa di morale, ‘appropriatezza’ dipende da un contesto, ‘conformità’ rientra anche nel lagom ma è in realtà un altro concetto.

È la misura ottimale. Di ogni cosa.

È la porzione che ti fai al buffet per non fare la figura del porcello, è il modo in cui racconti ad un amico di un tuo successo lavorativo in modo da non apparire tronfio, è la cottura della bistecca che chiedi al tuo amico che sta cucinando, è il modo in cui esulti quando vedi una partita accanto a qualcuno che tifa per l’altra squadra, il modo in cui giochi a calcetto con gli altri anche se pensi che tutte le tue azioni sarebbero maradonesche.
Non si ostenta, non si enfatizza.

Ecco, è il godersi le cose ma con una trave nel culo, per come lo definirei io.

Tempo fa vidi un video di una portoghese emigrata in Svezia che raccontava una scena che l’aveva sconvolta.
Supermercato. Madre con bimbo di circa 6-7 anni. La madre chiede al bimbo di prenderle le cipolle, e il bimbo chiede “quante?”. La madre risponde “lagom” e il viKinfante corre sorridente con la bionda chioma a prendere le cipolle.
LO SA.
Sa quante sono lagom cipolle, lo sa, ce lo ha nel corredo genetico.
La ragazza portoghese si chiede nel video: ma non dovrebbe dipendere da cosa devi cucinare? Quante cazzo sono lagom cipolle? 2,3,10, 20? Ditemelo! Credo che ci abbia perso il sonno su questo.

Dal parrucchiere immagino sia tutto più semplice. Io non ci sono mai andata dal parrucchiere in Svezia, perché una piega costa come una tiara di diamanti, ma immaginatevi come deve essere facile: non più scene come “vorrei una spuntatina leggera qui dietro, però magari davanti me li fai scalati, e poi me li sfiletti un po’ sulle lunghezze, sai tipo Rachel di Friends? Ecco, però un pochino più corti con un ciuffetto laterale sai tipo quella cantante di quel gruppo, dai come si chiamano? Dai quelli della canzone che fa la la la la la, capito?”, che poi comunque esci, ti specchi nel finestrino della prima macchina che vedi e ti sembra di essere Malgioglio.

“Lagom è meglio”

No, qui mi immagino che entri, ti siedi, il parrucchiere ti dice: “come volere taglien?” e te “lagom“. Tiè, pulita. Gli dai il tuo bravo milione di euro e sono tutti contenti.

Però lagom è essenzialmente il concetto che in medio stat virtus.

C’era una barzelletta che io e le mie eleganti amichette ci raccontavamo da piccole: una signora entra al ristorante e dice “vorrei un bicchiere d’acqua, né troppo calda, né troppo fredda, ma SMUACK al punto giusto, poi un piatto di pasta né troppo cotta, né troppo al dente ma SMUACK al punto giusto, e poi una fettina di carne, né troppo al sangue, né troppo cotta, ma SMUACK al punto giusto”; il cameriere allora le risponde “senta signora, lei m’ha fatto du’ palle così, né troppo mosce, né troppo dure ma SMUACK al punto giusto“.

Questa amena facezia, che ci concedeva alla tenera età di 6 anni il lusso di pronunciare la parola “palle” (dimostrandovi tra l’altro che non sono cresciuta tra l’alta nobiltà), riassume però in un certo senso lo spirito italiano per le cose SMUACK al punto giusto.

Gli italiani non sono lagom. Non ci pensano nemmeno.

Anzi, anche solo a livello nazionale noi italiani siamo sicuramente all’opposto, almeno per come funziona il nostro paese: si muore per una tonsillite da qualche parte, si viene operati con le tecniche migliori (e gratis) da un’altra; ci si compra una laurea in un’università da una parte, e si studia nella scuola migliore da un’altra. E guardate che non sto facendo il facile (e non veritiero) gioco dei Nordici e Sudici che ultimamente va un casino (anche qui, abbiamo Salvini ma anche Gino Strada), perché di pozze di sfacelo e ignoranza nella ridente Padania ce ne sono a bizzeffe.

Ma noi italiani non abbiamo uno standard, le oasi felici sono a macchia di leopardo, se caschi bene caschi benissimo, se caschi male, ciaone.
In Svezia non hanno una media luccicante tanto come vorrebbero far credere al mondo, ma più dell’Italia sì.

La Svezia è pallosamente lagom.

Non mi fraintendete, secondo me la società ideale è quella senza nessuna prevaricazione, e una società in cui io arraffo di più e te rimani a becco asciutto non mi piacerebbe per niente. Va da sé, non mi piacerebbe neanche una società in cui è il mio becco a rimanere asciutto, per cui una ripartizione salomonica è, secondo il mio umile parere, ontologicamente sinonimo di giustizia.

Però, a parte che ecco, da parte di un paese che ha un cazzo di re con una cazzo di corona e un cazzo di scettro, il concetto di lagom mi sembra quantomeno divertente, e poi secondo me questo concetto in Svezia rischia di creare mostri.

È un po’ lo stesso discorso dell’appiattimento delle differenze di cui vi ho parlato tempo fa a proposito dell’ideologia del gender.
Ottima cosa l’uguaglianza, le pari opportunità, etc. ma creare bambole e bamboli senza wulwe né piselli se no i bambini e le bambine pensano che oVVoVe, siamo diversi, ecco, no. Qui si esagera. No Merchandising. Editorial Use Only. No Book Cover Usage. Mandatory Credit: Photo by Moviestore Collection / Rex Features (1555426a) Antz Film and Television

L’auspicarsi una popolazione fatta di individui simili, dove menti brillanti cercano di non dare troppo nell’occhio, dove si aspira al livellamento, è malato, e fascista, e pericoloso.

Se non credete a me guardate Z la formica, in quel cartone c’è più verità di quanta ne troviate da gente che si crede di sinistra ma ha in realtà il cervello pieno de mmmerda.

Beh, in realtà io vivo a Malmö, e qui, vi dico la verità, l’ideologia del lagom non è assolutamente così evidente.
Qui è pieno di immigrati, creativi, folli, bianchi, gialli, neri, e anche fascisti, nazisti, etc.
Ma via, benvengano i nazisti se sopportare loro mi porta anche ad una società variegata, non omologata, imperfetta ma brulicante: “Grande è la confusione sotto il cielo: la situazione è eccellente” diceva il Presidente Mao.

INGREDIENTI PER CIRCA 6 PERSONE:

  • 3 sedanoni di rabarbaro
  • 200 gr. di zucchero
  • 1,5 cucchiai di fecola di patate
  • 1 cucchiaino raso di cannella
  • 200 gr. di burro
  • 240 gr. di farina
  • 40 gr. di fiocchi d’avena
  • vaniljsås
  • lamponi e foglioline di menta per guarnire

PREPARAZIONE: Accendere il forno a 200°C e togliere il burro dal frigorifero. Tagliare il rabarbaro in pezzetti di circa mezzo centimetro di spessore e mettere i pezzetti in una teglia di circa 25 cm di diametro. Spolverare con 100 gr. di zucchero, fecola e cannella. In una terrina mescolare burro, farina, il resto dello zucchero e i fiocchi d’avena. Mischiare con le mani fino ad ottenere un impasto brignoccoloso con cui cospargerete la teglia dove avete messo il rabarbaro. Cuocere a metà forno per circa 25-30 minuti, fino a quando la ricopertura avrà un bel colore dorato. Servire cospargendo di vaniljsås e guarnire con qualche lampone e qualche fogliolina di menta.

Rabarberpaj pronta! - Ph. Gianluca La Bruna

Rabarberpaj pronta! – Ph. Gianluca La Bruna (gianlucalabrunaphotography.com)

Buon appetito! I.

♫ Malmö è mille culure, Malmö è mille paure ♫: la skånsk äppelkaka

Prima o poi sarei tornata.

La Svezia è come quando ti prude la mano che ti hanno amputato anni prima. E ora ho nostalgia di Svezia.

Il Turning Torso, grattacielo residenziale progettato da Calatrava, simbolo di Malmö

Il Turning Torso, grattacielo residenziale progettato da Calatrava, simbolo di Malmö

Sono scomparsa dalle polpette per una serie di ragioni, più importante tra tutte quella che mi sono trasferita a Malmö per un’estate. Doveva essere la svolta della mia vita lavorativa ma non lo è stata.

In compenso è stata una svolta per miliardi di altri motivi: ho iniziato a capire lo skånese, ho conosciuto un sacco di persone splendide, ho fatto un bellissimo viaggio on-the-road in Norvegia, mi sono sentita a casa e lontanissima da casa nello stesso istante, ho avvistato un cucciolo di alce con babbo alce e mamma alce, sono stata vittima di mobbing, ho avuto amici svedesi, croati, costaricani, siriani, greci, mauriziani, americani e perfino pisani, sono entrata in dipendenza da Breaking Bad, mi sono innamorata, ho avuto un viKimolestatore telefonico, ho ascoltato tantissima musica nuova, ho scoperto di non aver bisogno di cose di cui pensavo di aver bisogno, mi sono sentita davvero felice e serena.

Il lavoro non l’ho trovato, vuoi per il momento sfavorevole (mi sono trasferita a giugno), vuoi perché il mio svedese quando sono andata era molto più scarso di quando sono tornata, poi il contratto d’affitto è scaduto; e per farla breve io sono tornata con le pive in valigia a Livorno.

Il fatto che mi trovassi in Svezia in effetti non ha un diretto nesso logico con il fatto che abbia completamente ignorato il blog fino a questo momento, ma come avete letto sono stata molto molto molto impegnata.

Ammetto che quando sono tornata in Italia ho gridato un “SUCAAAA” mentale a Malmö, alla Svezia, ai biondi e ai pallini sulle a, ma anche questo fa parte dell’epifania da cui sono stata colpita, perché ora invece mi manca. Ora il Belpa mi ha stancata, vedo un’Italia in crisi nera, un paese in pieno Medioevo economico e culturale, una mentalità con cui continuerò a scontrarmi per l’eternità (e certo vivere in una città gretta, ignorante e mediocre non aiuta).

Ho avuto avventure e disavventure a Malmö, quindi sono stata contenta di tornare pensando alle disavventure, e ora sono nostalgica perché penso più che altro alle avventure, lo riconosco. Le cose stanno sempre nel mezzo.home

Però cercando di astrarre lo sguardo riesco a capire che il punto è sostanzialmente che ormai quello è come se fosse una specie di altro mondo che ho imparato a conoscere negli anni, ad amare, a odiare, a tollerare, comunque sia è mio.

La Svezia per me è l’Italia alla fine. Certo, io nel mio intimo penso in italiano, mangio in italiano (e menomale), mi incazzo in italiano, e rido in italiano. Però so come si pensa in svedese, come si mangia, come ci si incazza e come si ride. Non è un approccio che nel mio processo cognitivo attivo mi riesce naturale, no, ma mi risulta familiare, questo sì.

Perché io, è vero, sono fondamentalmente un’inquieta, ma poi alla fine penso anche che non sentirsi a casa da nessuna parte è come sentirsi a casa dappertutto, in un certo senso.

Insomma, mi sono sorpresa a riflettere su cosa sia “casa”. E credo che casa sia il posto dove quasi osmoticamente ti confondi nei comportamenti degli altri, non ti stupisci quasi per niente, né nel bene né nel male, capisci il mondo che ti circonda, lo ami a tratti e ancora più spesso lo detesti.

Nessuno a Malmö poteva supporre che io non fossi svedese, tranne forse per i capelli scuri, ma potevo essere di seconda generazione. Non ho scritto “turista terrona” in fronte, non porto marsupi obsoleti che gli italiani in viaggio risfoderano da bauli anni ’80, non cerco di far passare 10 kg in più di bagaglio all’aeroporto e non fumo dove è vietato fumare.

Tutti mi hanno sempre parlato subito in svedese, mai in inglese. È solo dopo che sanno che sono un’outsider che fanno gli stronzi.

"Nazionalista?" "Ma certo che sì!"

“Nazionalista?” “Ma certo che sì!”

Perché sì, diciamocelo, gli svedesi hanno tante qualità, ma in media sono delle grandi facce di merda, nazionalisti, saccenti, paternalisti, senza contatto con la realtà, servi di un regno fasullo senza neanche rendersene conto. Ostentatamente ingenui ai limiti del bischero, perché forzati a pensare che essere sospettosi nel loro mondo non serva.

Invece serve. Nel loro mondo come nel mio, e questo perché, checché se ne dica e ci si raccontino cazzate, di mondo uno ce n’è. E uno soltanto.

Ovviamente parlo della media degli svedesi, non tutti e non sempre si comportano in questo modo, ma nei grandi numeri è così, e comunque sia questi lati emergono anche in persone adorabili e intelligenti, quindi è una questione culturale.

Quando ero una ragazzina ebbi anche io la fase di idolatria del Nord Europa, ed ero convinta di cose che sparavo a caso senza conoscere, cose che avevo sentito dire e ripetevo per dare aria ai denti, cose che si sono rivelate dei buchi nell’acqua: la libertà sessuale, la religione non invadente, la cordialità. Se ci penso ora mi viene da ridere, sono forse i tre flop più mastodontici su cui mi sono imbattuta nel regno di Svezia.

E mi sono arrabbiata da morire con la Svezia per aver deluso così tanto le mie adolescenziali aspettative. È subentrato un odio acuto per aver constatato che erano sessualmente bigotti, religiosamente rompicoglioni e palpabilmente xenofobi.

Poi un giorno che ero in treno e ho sentito la vocetta che mi annunciava la nästa station ho avuto una rivelazione.

Io in un certo senso appartengo anche a quel posto, io e la Svezia ci conosciamo da tanto, e bene. Ci siamo reciprocamente presentate i nostri lati migliori e i nostri lati peggiori.

Ho creduto che col tempo avrei imparato ad apprezzare, o almeno ad ignorare, il lato odioso della Svezia, ma la verità è che non lo farò mai. Così come non riuscirò mai a non odiare il casino italiano, l’incapacità di pensare agli altri, di metterci d’accordo perfino quando stiamo collassando economicamente, politicamente e moralmente, l’andare oltre le regole “perché mi va”, “perché sono più furbo”.keepcalmitaly

E l’ho sempre saputo, e sempre lo saprò, che dietro le università diroccate e fatiscenti del paese dove sono nata vengono formati gli studenti migliori d’Europa, che al primo anno di triennale hanno frequentato un corso che in Svezia nemmeno gli Emeriti riescono a seguire, visto che al dottorato in matematica fanno ancora le tabelline.

Però questi studenti eccelsi dall’Italia se ne vanno, e se ne vengono in Svezia, dove se non paghi le tasse non giri in motoscafo con un troione che ha 40 anni meno di te, ma vai in galera. E non in una galera sovraffollata, malata e cupa, ma in una galera dove non sarai libero, ma sei pur sempre un cazzo di essere umano.

Uscito dalla galera in Svezia poi ti mancheranno persone genuine e ospitali, che ridono quando non c’è niente da ridere, e non perché sono stupide, ma forse perché lo sono troppo poco, a patto che si possa essere troppo poco stupidi a questo mondo; troverai persone talmente politically correct che escludono più categorie di quante apparentemente ne includano.

Ti mancheranno persone che ti vogliano far sentire a casa, uno/a di loro, che imbraccino una chitarra in un ristorante per cantare tutti insieme mentre gli spaghetti al dente fumano ancora sul tavolo.

Ma non si vive solo di schitarrate, si vive anche di treni di pendolari puliti e puntuali, di piste ciclabili, di file alle poste veloci e sorridenti, di burocrazie facili e snelle, di salari dignitosi. Si vive di un sacco di cose, a pensarci bene…

E insomma, meditando su tutto questo ho capito che casa è un posto dove ti senti talmente te stesso che riesci a raggiungere vette di odio e vette di amore che non avresti mai pensato di poter raggiungere. Chi è che ti fa più incazzare al mondo, infatti? I tuoi, di solito.

E soprattutto casa è il posto per cui provi una nostalgia incredibile, che neanche lo sapevi, ma che ti arriva come una secchiata d’acqua in faccia non appena senti dei suoni che dopo molta fatica hanno finalmente un significato.

E quindi sì, alla fine questa Svezia del cazzo è casa.

Quindi poi, tornando al vero scopo di un foodblog, io la ricetta di oggi la dedico a Malmö proponendovi la skånsk äpplekaka, una torta di mele particolarmente sbriciolosa, che come dice il nome proviene dal Sud della Svezia.

Ma visto che questo post è talmente smelencio che mi si stanno cariando i denti, sento il bisogno irrefrenabile di aggiungere qualcosa sulla scia del “siamo tutti figli dell’universo”, “amalgamiamoci tutti insieme” e “siamo tutti fratelli”…

Pisa merda.

INGREDIENTI PER 4 PERSONE:

  • 100 gr. di pangrattato normale
  • 100 gr. di pangrattato integrale (meglio sarebbe di segale)
  • 50 gr. di granella di mandorle
  • 400 gr. di purea di mela
  • 50 gr. di zucchero di canna
  • 90 gr. di burro
  • 4 mele
  • un cucchiaio raso di cannella in polvere
  • un cucchiaino di cardamomo in polvere
  • vaniljsås

PREPARAZIONE:

Ungere una teglia (di circa 20 cm di diametro) e preriscaldare il forno a 200 °C. Mettere da parte circa 10 gr. di burro che serviranno alla fine.

Sciogliere il burro in un pentolino. Spegnere il fuoco, aggiungere il pangrattato, 2 cucchiaini di zucchero, la cannella, il cardamomo, la granella di mandorle e mescolare bene.

Sbucciare le mele e tagliarle a fettine abbastanza sottili.

Nella teglia mettere metà del pangrattato dorato nel burro, metà della purea di mela e metà delle mele tagliate.

Fare un ulteriore strato di pangrattato/purea/mele e spolverare l’ultimo strato con lo zucchero rimasto e qualche fiocchetto di burro.

Cuocere per circa 30 minuti e servire con abbondante vaniljsås calda.

Buon appetito!

I.

La jordgubbstårta e il posto delle fragole iperuraniche

Mi ero ripromessa di aspettare un po’ a cucinare un altro dolce. Giuro.

So che le mie ricette sono sbilanciate, e che magari avrei dovuto fare qualche bevanda o qualche salsa per riequilibrare un po’ la situazione, ma vedete, io ho una convinzione… Fare i dolci è un esercizio filosofico per affinare la nostra capacità di cogliere l’essenza spirituale del Cosmo.

Avete presente Platone e la teoria delle Idee? Ecco, secondo me nell’Iperuranio esistono milioni di dolci perfetti e immutabili, compiuti in se stessi, incorruttibili e in armonia col tutto. E poi invece, nel mondo terreno, ci sono i dolci reali, quelli incarnati in calorie e cristalli di zucchero, che cercano di imitare i dolci ideali ma hanno sempre qualcosa che non va (troppo cotti, troppo poco cotti, troppo dolci, troppo poco dolci, troppo duri, etc.). E attenzione, questo discorso vale solo per i dolci… gli altri piatti possono essere buoni anche nelle loro varianti più o meno casuali. I dolci no. Dei dolci esiste sempre una e una sola variante chimerica assolutamente perfetta.

Gli uomini poi, che conservano dentro se stessi il ricordo del Grande Padre Dolce del mondo delle Idee, provano a creare dolci che riescano ad essere perfetti come lui, senza però riuscirci mai. L’essere umano è stupido, e sa che sarà impossibile creare un dolce che abbia il sapore e l’aspetto di quello che corrisponde alla sua Idea, eppure, nonostante sia a conoscenza della sua limitatezza, ci prova ugualmente, per quell’animo tutto umano che ti spinge a fare stronzate quando sai benissimo che sono stronzate.

Bene, oltre a ciò, all’interno del genere umano c’è un essere ancora più stupido (ehm… io) che si rifiuta di pensare che creare un dolce iperuranico sia impossibile. Anzi, questa gentile pulzella è addirittura convinta che un giorno ci riuscirà. Che creerà un dolce soprasensibile che si discosti dalla sua monca e deludente entità fenomenica. E quindi inforna e sforna a manetta, perché ci si diverte un casino e perché quando le girano le balle vorticosamente, niente la rilassa di più che impastare, imburrare, infornare e respirare l’aria zuccherosa e calda, gonfia di pensieri piacevoli e di dolci aspettative.

Credo di avere perfino sfiorato il successo una volta nella vita (recentemente, oltretutto), ma non era un dolce svedese, era un upgrade della Sachertorte (sì, è possibile aggiornare perfino lei al giorno d’oggi), quindi chevvoodicoaffà?

E insomma, zero voglia di fare delle stupide salse, che mi impazziscono e poi non so dove metterle perché a me le salse mi stanno sul cazzo. Vi beccate il dolce e state zitti.

Oltretutto vi propongo anche una torta che fa la sua porca figura, la jordgubbstårta, ovvero “torta di fragole“.

Ecco, ma facciamo tipo la ghigliottina di Carlo Conti, no? Io vi do due paroline e voi mi trovate una terza parolina che racchiuda per associazione mentale il senso delle altre due, ok? Fragole e Svezia… Svezia e fragole…

Esatto, Bergman e Il posto delle fragole.

Come succede per la maggior parte dei film e dei libri per gente-di-un-certo-livello, Il posto delle fragole ha una trama abbastanza semplice: vecchio va in macchina a ritirare premio.
E questo perché l’importante non è l’intreccio, ma le seghe mentali che corredano l’intreccio, e lo potete fare davvero per tutti i classiconi. E’ tra l’altro un divertente esercizio per affinare le vostre capacità di sintesi.
Per i libri: Delitto e castigo, Dostoevskij, uomo ammazza due vecchie, poi gli dispiace; Madame Bovary, Flaubert, moglie fa corna a marito perché intrippata sugli Harmony, Furore, Steinbeck, famiglia povera dell’Oklahoma va in California per cercare lavoro, etc.
Oppure per i film: Il Monello, Chaplin, bimbo abbandonato mette la gente nei casini; Umberto D, De Sica (De Sica quello buono eh, non quello cattivo), uomo non riesce a pagare affitto e in più ha cagnolino che complica le cose; Amici miei, Monicelli, quattro amici fanno i cazzoni a giro, etc.

Insomma vedete? Eppure vi ho comunque preso dei capolavori.

Bene, anche a Bergman interessa come dire le cose, più che cosa dire, che poi in ogni linguaggio artistico, secondo me, il come e il cosa sono la stessa faccenda, ma vabbè.
Ad ogni modo se escludete Il Settimo Sigillo, dove un omino gioca a scacchi con la morte (e quindi basterebbe già solo l’intreccio a definire il film ‘geniale’, anche se la conversazione tra i due fosse basata su discorsi-Facebook tipo “in Spagna protestano e noi in Italia a comprare l’i-Phone”), noterete come Bergman da un intreccio base tiri fuori meditazioni estreme, problemi esistenziali, scontri con il passato, rielaborazioni di vita, e tutte queste cose pese che vi lasciano con quella strana voglia che aveva la Rettore…

…no animali, non la voglia del cobra, quella della lametta.

Quindi, immaginatevi il viaggio del vecchietto ne Il Posto delle Fragole, soprattutto quando decide di far salire tre giuovinciuelli a bordo della sua macchina, che lo mettono prepotentemente a confronto con la sua passata giovinezza, che non c’è più, non tornerà più, basta, finito (e qui, appunto, intanto uno si prepara un bel nodetto scorsoietto che non si sa mai, può sempre servire).

In macchina c’è anche la nuora con cui lui ha un bellissimo rapporto ma che non se la ripassa benissimo col marito (ovvero il figlio del professore), poi a un certo punto c’è una coppia pallosa che litiga e che viene buttata fuori dalla macchina, insomma, umanità varia ed eventuale che compone, assieme ai ricordi di affetti passati e amori sbiaditi, un mosaico di vita che stimola il professore alla riflessione esistenziale.
E però insomma, caro prof. Isak Borg, tu ci potevi anche pensare prima, no? Dal momento che hai 350 anni ormai con i bilanci ti ci puoi anche pulire il chiulo.

Bo, forse è questa quella che chiamano ‘la saggezza della vecchiaia‘… ripensare alle cazzate fatte da giovani, sapere come risolverle e come comportarsi facendo sì che non siano cazzate, ma non poter più farci nulla proprio in quanto vecchi.
Se sei giovane fai cazzate perché sei giovane, se sei vecchio sai come non fare cazzate ma non fai più una sega perché sei vecchio.

Mi sto deprimendo, torniamo alle fragole.

Fragoline & Fragolone

Ecco, perché il film si chiama Il posto delle fragole?
Dunque, innanzitutto c’è un misunderstanding nella traduzione, perché il titolo vero e proprio letterale sarebbe Il posto delle fragoline di bosco (Smultronstället = smultron “fragoline di bosco” + stället = “luogo”).
Però convenite con me che avrebbe perso davvero di poeticità, sarebbe stato un po’ come avere, che so, Il tempo delle Granny Smith o La piressia ondulante del sabato sera: noi siamo il paese di Leopardi, dell’indeterminatezza, della poetica dell’indefinito e del nebuloso. A noi il tecnicismo, il linguaggio sintetico, il lessico univoco e preciso, ci stanno sul cazzo, va bene?!

E comunque “smultronstället”, oltre a essere il posto dove la cugina andava a raccogliere le fragoline (e che il professore ricorda perché insomma, “non c’è cosa più divina…”), in svedese è espressione idiomatica per indicare un momento del passato a cui si guarda volentieri per poterlo rivivere con il pensiero, una specie di rifugio mentale.

Insomma, niente a che vedere con le nostre jordgubbar, banalmente “fragole”.
In svedese moderno letteralmente sarebbero i “vecchietti di terra” (jord = “terra”; gubbe “vecchietto”), però è un’etimologia anacronistica, perché la parola risale al primo ‘800, quando gubbe significava “zolla”… Non so perché le abbiano definite “zolle di terra” le fragole,  davvero, non ne ho idea.

Comunque questa torta sarebbe sostanzialmente una gräddtårta (“torta di panna”) nella sua variante notevolmente più famosa, che prevede le fragole. Potete però sostituire le fragole e la marmellata di fragole con altri frutti di bosco, o anche fare accostamenti un po’ più azzardati tipo… bo, ananas, kiwi, non lo so, sperimentate. Anche con le pesche deve essere buona.

Importante: vi serve la vaniljsås per questa ricetta, quindi pensateci prima quando fate la spesa. Dimezzate la ricetta della vaniljsås che vi ho dato io usando comunque un uovo (più densa è e meglio è). Anzi no, ci ho ripensato, vi sfido a usare mezzo uovo, voglio proprio vedere come fate.

E così, giusto per concludere, vi butto lì due cosette solo per mostrarvi che io la cultura la so: il professore de Il posto delle fragole è magistralmente interpretato da Victor Sjöström, attore e regista, padre del cinema svedese, maestro dello stesso Bergman, che in gioventù aveva diretto tra le altre cose Il carretto fantasma, un film muto degli anni ’20 bellissimo, fatto con delle tecniche strainnovative per l’epoca, e tratto da un libro di Selma Lagerlöf. Bellissimo anche il libro.

INGREDIENTI PER 8 PERSONE:

Per la base della torta:

  • 4 uova
  • 150 gr. di zucchero
  • 60 gr. di farina
  • 70 gr. di fecola di patate
  • 1 bustina di lievito in polvere

Per il primo ripieno (oh yes, ne ha due):

Per il secondo ripieno:

  • 1 dl. di panna fresca
  • 100 gr. di marmellata di fragole
  • 250 gr. di fragole tagliate a pezzettini

Per guarnire:

  • 3 dl. di panna fresca
  • circa una decina di fragole
  • due manciate di gocce di cioccolato bianco

PREPARAZIONE:

Far riscaldare il forno a 175 °C.

Imburrare e infarinare una tortiera di circa 26 cm. di diametro.

Sbattere le uova con lo zucchero e aggiungere poi farina, fecola e lievito. Mescolare finché l’impasto non sarà omogeneo e infornare nella parte bassa del forno.

Far cuocere per circa 40 minuti.

Togliere la torta dal forno e farla raffreddare sotto un canovaccio.

Tagliare la torta in tre strati, facendo i due tagli di modo che le parti siano più o meno grandi uguali (vi conviene tagliare tutto intorno con un coltello ben affilato e poi quando i bordi sono tagliati, tagliare via il centro).

Cospargere lo strato più basso di vaniljsås.

Appoggiate il secondo strato sulla torta e cospargetelo di marmellata di fragole. Passate i pezzettini di fragola nel mixer e aggiungete anche quelli, e poi anche la panna ben montata.

Aggiungere l’ultimo strato cospargendo di panna l’intera torta, lati compresi.

Tagliare via la parte verde alle fragole, tagliarle a metà e guarnire la torta come preferite. Cospargere poi di gocce di cioccolato bianco.

La torta è strapiù buona se la servite dopo 5/6 ore di frigorifero.

Jordgubbstårta pronta!

Buon appetito!

I.

Febbraio: arrivano i Semlor!

A febbraio i panifici, le caffetterie, e perfino i supermercati svedesi si riempiono di un profumino di dolce fatto in casa grazie ai mitici semlor (pronuncia: /’sem-lur/, singolare semla).

Tradizionalmente erano semplici fette di pane in una ciotola di latte caldo… insomma, anche no. Poi però gli svedesi si devono essere resi conto che un dolce, per essere tale, ha bisogno di tante cose grasse e zuccherose, altrimenti è penitenziale, e hanno iniziato ad aggiungere al pane e latte cose che hanno reso i semlor davvero libidinosi.

I semlor attuali infatti sono delle pagnotte dolci morbidissime al profumo di cardamomo ripiene di panna e pasta di mandorle (mandelmassa). Nel senso, ne basta una per prendere una ventina di chili, ma forse avrei dovuto specificare che non è un blog di ricette dietetiche.

Qualcuno continua a mangiarli dentro il latte pur nella loro versione elaborata, ma gli svedesi normali hanno capito che il grasso animale contenuto in un semla è sufficiente, e quindi li accompagnano con tè o caffè.

Originariamente queste palle ripiene venivano mangiate il martedì grasso prima del digiuno, poi la Svezia diventò protestante e iniziò a sbattersene di digiuni, quaresime, carnevali, e cose del genere (anche se in Scania, la regione di Malmö, i semlor vengono ancora chiamati fastlagsbulle, ovvero “i dolci della quaresima”). Rimase però la tradizione di mangiarli a febbraio.

Mi stupivo all’inizio che un dolce così buono si trovasse solo in un mese dell’anno, ma poi ho pensato “e se volessi due o tre chiacchiere (‘cenci’ per me, dato che vengo da terra toscana) a ottobre?”  e mi sono anche risposta “mi attaccherei”, quindi è un po’ la stessa cosa.

Un difetto che possono avere questi apparentemente perfetti pseudo-maritozzi è il cuore di pasta di mandorle, che dopo un paio di morsi diventa davvero stucchevole, per cui io sono dell’idea che si può eliminare completamente (insomma, la pannona lattosa potrebbe anche essere abbastanza) oppure sostituire con qualcos’altro:

  • nutella per le crisi d’affetto
  • marmellata di arance amare per fare i raffinati
  • marmellata di lamponi come fanno in Finlandia
  • crema chantilly come nei bomboloni
  • pasta di cocco come previsto da una variante svedese (anche se secondo me si rischia di fare peggio)

Insomma, un po’ come vi pare, fermo restando che secondo me dentro alla pasta si potrebbero anche infilare delle uvette o delle gocce di cioccolata (tipo Pangoccioli, per intenderci) ed evitare anche la panna. La pasta infatti è morbidissima e perfetta così com’è, quindi può fare da base a ogni cosa dolce che vi viene in mente.

Qui metto la ricetta originale, pronta ad accogliere suggerimenti strani o meno strani.

ATTENZIONE!: si narra che il re Adolfo Federico di Svezia morì di indigestione dopo averne mangiati 14, quindi insomma, datevi una regolata.

INGREDIENTI PER 14 SEMLOR

Per la pasta:

  • 750 gr. di farina
  • 1 uovo
  • 50 gr. di lievito di birra fresco
  • 100 gr. di burro
  • 300 ml di latte
  • mezzo cucchiaino di sale
  • 1 cucchiaino di cardamomo macinato
  • 100 gr. di zucchero

Per la spennellata prima di infornare:

  • un uovo
  • un cucchiaio d’acqua

Per il ripieno (si chiama mandelmassa, ed è una specie di pasta di mandorle che sa di marzapane):

  • 100 gr. di mandorle sgusciate e tritate
  • 100 gr. di zucchero
  • 2 cucchiai di latte
  • un bicchiere di latte bollente da aggiungere al mandelsmassa e alle molliche

Per la farcitura:

  • 1 litro di panna fresca da montare
  • un cucchiaio di zucchero
  • un paio di cucchiai di zucchero a velo

PREPARAZIONE

Tirare fuori l’uovo dal frigorifero per evitare che sia troppo freddo e spezzettare il lievito in una ciotola. In un pentolino far sciogliere il burro e aggiungere il latte, fino a far arrivare il tutto a 37°C (infilare il ditino dentro per verificare). Versare un pochino nella ciotola con il lievito finché il lievito non si scioglie, poi aggiungere il resto.

1- Versare lentamente il burro e il latte sul lievito spezzettato

Aggiungere sale, cardamomo, zucchero e uovo. Aggiungere la farina piano piano, facendo attenzione a non metterne troppa altrimenti la lievitazione ne risentirà, e lavorare fino ad ottenere un impasto liscio e morbido.

2- Pagnotta liscia e morbida

Coprire con un panno, e lasciare riposare per 45 minuti in un luogo fresco e asciutto e lontano dalla luce diretta del sole (ad es. il forno spento potrebbe essere un ottimo posto). Passati i 45 minuti lavorare la pasta ancora un po’ per eliminare le bollicine d’aria che si saranno create durante la lievitazione. Dividere la pasta in 14 pezzi e fare delle palline.

Mettere le palline ben distanziate l’una dall’altra su una teglia con la carta da forno e lasciar riposare per altri 45 minuti (in cui la pasta continuerà a crescere, è per questo che è importante distanziarle, altrimenti si attaccano l’una all’altra). Nel frattempo riscaldare il forno a 225-250°C. Passati i 45 minuti spennellare le palline con l’uovo e l’acqua e cuocere nel forno per 10 minuti. E’ importante che siano messe nel ripiano al centro del forno e abbastanza lontane dai bordi, anche se per fare questo sono necessarie più infornate.

3- Mandelsmassa

Una volta cotte tutte (devono essere marroncine e lucide) lasciarle raffreddare. Mentre le palline raffreddano fare la mandelmassa mescolando le mandorle tritate, lo zucchero e la tazzina di latte. A questo punto si riempiono le palline: tagliare la calottina di ogni palla e togliere un po’ di mollica con un cucchiaino. Aggiungere tutte le molliche alla pasta di mandorle, aggiungere un bicchiere di latte bollente e mescolare.

4- Pagnotte cotte

Riempire ogni pallina con la pasta così ottenuta.

Aggiungere lo zucchero alla panna fresca e montarla* finché non diventa molto ferma, e aggiungerla sulle mezze palline riempite con la pasta di mandorle (meglio sarebbe con il siringone da dolci, ma va bene anche con un cucchiaio). A questo punto rimettere la calottina e spolverare con zucchero a velo.

5- Panna montata al frullatore

*Momenti di panico, non avevo le fruste elettriche né voglia di montare a mano: ho sperimentato il montaggio in frullatore e la panna è venuta perfetta.

Cosa ho imparato cucinando questo piatto:

1) Evitare di togliere maldestramente il coperchio del frullatore mentre sta frullando
2) Non cucinare con il Mac accanto
3) Non cucinare con il Mac accanto soprattutto se si ha la tendenza a togliere maldestramente il coperchio del frullatore mentre sta frullando.

Buon appetito!

I.

5- Semlor pronti!