No invece “Oh yeah, I”, ma mi piaceva che rabarberpaj ci stesse così bene in metrica, e poi il gioco di parole con crumble, insomma… No è vero che se spieghi le battute o le rovini o significa che non erano divertenti già da prima (come questa), ma tant’è, non avevo pensato a titoli migliori.
Ariecchime con mesi di ritardo, as usual. Sono incostante. Sempre stata. Vi rivogo sempre le solite scuse, ma la verità è che sono incostante.
Però torno con il botto, perché ho fatto la rabarberpaj, che non avevo mai neanche assaggiato, figuriamoci cucinato, e oh, è BONA! Forse ho ecceduto con la cannella e sapeva solo di cannella, ma se voi evitate di farvi prendere dall’entusiasmo e ce ne mettete meno penso rimarrete piacevolmente stupiti da questo dessert.
Innanzitutto da quando sono emigrata in Sverige ho scoperto diverse cose, tra cui che il rabarbaro è una pianta. Scegliete pure il vostro commento a questo fact of the day:
a) Nooo ma dai, è una pianta?
b) Grazie al cazzo, mi ci volevi te
Oh, io non lo sapevo e non me ne vergogno. Έτσι, δεν γνωρίζω.
L’unica cosa più vicina al rabarbaro che avevo mai avuto il dispiacere di assaggiare da piccolissima erano delle caramelle che piacevano tanto a mio babbo ma che secondo me sapevano di cerume, e quindi non mi ero poi più interessata alla faccenda.
Comunque sia, è una pianta erbacea perenne, di cui si mangia il picciolone rosso. Fate conto di avere un sedanone rosso. Quello è il rabarbaro.
Pare abbia proprietà digestive e purificanti. Si possono mangiare anche le foglie come succedaneo degli spinaci (non è una bellissima parola, “succedaneo”?) ma l’uso è fortemente sconsigliato (da Wikipedia, almeno, da dove proviene la mia scienza) perché pare contengano un casino di acido ossalico che fa venire cose simpatiche come irritazioni intestinali e calcoli renali (e qui si torna al mio odio per le cugiate del “naturale fa bene”, al centro di buona parte dei miei folli sproloqui).
Il dolce è un crumble, che in svedese si dice smulpaj, ovvero, per voi digiuni di Masterchef, una base di frutta cosparsa con un impasto friabile che durante la cottura diventa croccante mentre il sotto resta morbidoso e marmellatoso (per soddisfare la vostra curiosità sull’argomento “cose svedesi uguali a cose americane ma con nomi viKinghi invece che anglosassoni”, leggete qui).
È un dolce molto buono, se non altro perché è dolce.
Mi spiego meglio: la cioccolata sa di cioccolata, le fragole sanno di fragole, e via dicendo con altre tautologie. Se vi dessi un pezzo di kläddkaka riconoscereste la cioccolata, se ve ne dessi uno di jordgubbstårta riconoscereste le fragole, etc.
Bene, il rabarbaro secondo me non sa di un cazzo.
Con questo non voglio parlar male del mio dolce, eh, che è venuto buonissimo, ma ecco, si sentiva lo zucchero, il burro, cannella, la vaniglia della vaniljsås con cui ho cosparso il dolce, etc. Ma il sapore del rabarbaro, se proprio dovessi descriverlo, dé… non l’ho capito molto bene.
Non stucchevole, ovviamente non salato… direi lagom.
E voi direte, e che minchia è lagom?
È IL concetto svedese. Talmente intrinsecamente legato alla cultura viKi che mi meraviglio di non avervene ancora parlato, probabilmente perché io sono la persona meno lagom del pianeta.
Etimologie popolari vedono in lagom una contrazione da laget om, originariamente “intorno al gruppo”: i Vichinghi (quelli originali, infatti lo scrivo senza la K) si sedevano in cerchio e bevevano idromele da un pittoresco cornino, lagom era la quantità giusta da bere per non fare le bestie (lo si sa, come ci tenevano all’etichetta i Vichinghi, nessuno mai).
In realtà, fidatevi della linguista, l’etimologia deriva da un arcaico dativo plurale della parola lag, “legge”, traducibile con “secondo la legge [comune]”.
Si può tradurre in italiano con “abbastanza“, “medio”, “sufficiente”, “equilibrato” e corrispettivi avverbi. Né troppo né troppo poco, quindi.
Ma troppo o troppo poco di cosa?
Di tutto.
È un concetto filosofico difficilmente traducibile in italiano. ‘Morigeratezza’ dà più l’idea di qualcosa di morale, ‘appropriatezza’ dipende da un contesto, ‘conformità’ rientra anche nel lagom ma è in realtà un altro concetto.
È la misura ottimale. Di ogni cosa.
È la porzione che ti fai al buffet per non fare la figura del porcello, è il modo in cui racconti ad un amico di un tuo successo lavorativo in modo da non apparire tronfio, è la cottura della bistecca che chiedi al tuo amico che sta cucinando, è il modo in cui esulti quando vedi una partita accanto a qualcuno che tifa per l’altra squadra, il modo in cui giochi a calcetto con gli altri anche se pensi che tutte le tue azioni sarebbero maradonesche.
Non si ostenta, non si enfatizza.
Ecco, è il godersi le cose ma con una trave nel culo, per come lo definirei io.
Tempo fa vidi un video di una portoghese emigrata in Svezia che raccontava una scena che l’aveva sconvolta.
Supermercato. Madre con bimbo di circa 6-7 anni. La madre chiede al bimbo di prenderle le cipolle, e il bimbo chiede “quante?”. La madre risponde “lagom” e il viKinfante corre sorridente con la bionda chioma a prendere le cipolle.
LO SA.
Sa quante sono lagom cipolle, lo sa, ce lo ha nel corredo genetico.
La ragazza portoghese si chiede nel video: ma non dovrebbe dipendere da cosa devi cucinare? Quante cazzo sono lagom cipolle? 2,3,10, 20? Ditemelo! Credo che ci abbia perso il sonno su questo.
Dal parrucchiere immagino sia tutto più semplice. Io non ci sono mai andata dal parrucchiere in Svezia, perché una piega costa come una tiara di diamanti, ma immaginatevi come deve essere facile: non più scene come “vorrei una spuntatina leggera qui dietro, però magari davanti me li fai scalati, e poi me li sfiletti un po’ sulle lunghezze, sai tipo Rachel di Friends? Ecco, però un pochino più corti con un ciuffetto laterale sai tipo quella cantante di quel gruppo, dai come si chiamano? Dai quelli della canzone che fa la la la la la, capito?”, che poi comunque esci, ti specchi nel finestrino della prima macchina che vedi e ti sembra di essere Malgioglio.
No, qui mi immagino che entri, ti siedi, il parrucchiere ti dice: “come volere taglien?” e te “lagom“. Tiè, pulita. Gli dai il tuo bravo milione di euro e sono tutti contenti.
Però lagom è essenzialmente il concetto che in medio stat virtus.
C’era una barzelletta che io e le mie eleganti amichette ci raccontavamo da piccole: una signora entra al ristorante e dice “vorrei un bicchiere d’acqua, né troppo calda, né troppo fredda, ma SMUACK al punto giusto, poi un piatto di pasta né troppo cotta, né troppo al dente ma SMUACK al punto giusto, e poi una fettina di carne, né troppo al sangue, né troppo cotta, ma SMUACK al punto giusto”; il cameriere allora le risponde “senta signora, lei m’ha fatto du’ palle così, né troppo mosce, né troppo dure ma SMUACK al punto giusto“.
Questa amena facezia, che ci concedeva alla tenera età di 6 anni il lusso di pronunciare la parola “palle” (dimostrandovi tra l’altro che non sono cresciuta tra l’alta nobiltà), riassume però in un certo senso lo spirito italiano per le cose SMUACK al punto giusto.
Gli italiani non sono lagom. Non ci pensano nemmeno.
Anzi, anche solo a livello nazionale noi italiani siamo sicuramente all’opposto, almeno per come funziona il nostro paese: si muore per una tonsillite da qualche parte, si viene operati con le tecniche migliori (e gratis) da un’altra; ci si compra una laurea in un’università da una parte, e si studia nella scuola migliore da un’altra. E guardate che non sto facendo il facile (e non veritiero) gioco dei Nordici e Sudici che ultimamente va un casino (anche qui, abbiamo Salvini ma anche Gino Strada), perché di pozze di sfacelo e ignoranza nella ridente Padania ce ne sono a bizzeffe.
Ma noi italiani non abbiamo uno standard, le oasi felici sono a macchia di leopardo, se caschi bene caschi benissimo, se caschi male, ciaone.
In Svezia non hanno una media luccicante tanto come vorrebbero far credere al mondo, ma più dell’Italia sì.
La Svezia è pallosamente lagom.
Non mi fraintendete, secondo me la società ideale è quella senza nessuna prevaricazione, e una società in cui io arraffo di più e te rimani a becco asciutto non mi piacerebbe per niente. Va da sé, non mi piacerebbe neanche una società in cui è il mio becco a rimanere asciutto, per cui una ripartizione salomonica è, secondo il mio umile parere, ontologicamente sinonimo di giustizia.
Però, a parte che ecco, da parte di un paese che ha un cazzo di re con una cazzo di corona e un cazzo di scettro, il concetto di lagom mi sembra quantomeno divertente, e poi secondo me questo concetto in Svezia rischia di creare mostri.
È un po’ lo stesso discorso dell’appiattimento delle differenze di cui vi ho parlato tempo fa a proposito dell’ideologia del gender.
Ottima cosa l’uguaglianza, le pari opportunità, etc. ma creare bambole e bamboli senza wulwe né piselli se no i bambini e le bambine pensano che oVVoVe, siamo diversi, ecco, no. Qui si esagera.
L’auspicarsi una popolazione fatta di individui simili, dove menti brillanti cercano di non dare troppo nell’occhio, dove si aspira al livellamento, è malato, e fascista, e pericoloso.
Se non credete a me guardate Z la formica, in quel cartone c’è più verità di quanta ne troviate da gente che si crede di sinistra ma ha in realtà il cervello pieno de mmmerda.
Beh, in realtà io vivo a Malmö, e qui, vi dico la verità, l’ideologia del lagom non è assolutamente così evidente.
Qui è pieno di immigrati, creativi, folli, bianchi, gialli, neri, e anche fascisti, nazisti, etc.
Ma via, benvengano i nazisti se sopportare loro mi porta anche ad una società variegata, non omologata, imperfetta ma brulicante: “Grande è la confusione sotto il cielo: la situazione è eccellente” diceva il Presidente Mao.
INGREDIENTI PER CIRCA 6 PERSONE:
- 3 sedanoni di rabarbaro
- 200 gr. di zucchero
- 1,5 cucchiai di fecola di patate
- 1 cucchiaino raso di cannella
- 200 gr. di burro
- 240 gr. di farina
- 40 gr. di fiocchi d’avena
- vaniljsås
- lamponi e foglioline di menta per guarnire
PREPARAZIONE: Accendere il forno a 200°C e togliere il burro dal frigorifero. Tagliare il rabarbaro in pezzetti di circa mezzo centimetro di spessore e mettere i pezzetti in una teglia di circa 25 cm di diametro. Spolverare con 100 gr. di zucchero, fecola e cannella. In una terrina mescolare burro, farina, il resto dello zucchero e i fiocchi d’avena. Mischiare con le mani fino ad ottenere un impasto brignoccoloso con cui cospargerete la teglia dove avete messo il rabarbaro. Cuocere a metà forno per circa 25-30 minuti, fino a quando la ricopertura avrà un bel colore dorato. Servire cospargendo di vaniljsås e guarnire con qualche lampone e qualche fogliolina di menta.
Buon appetito! I.