Köttbullar (prima o poi dovevo), carcasse di cavalli e viKifestival

Sono stata sfidata.

Ebbene sì, al mondo c’è chi osa tanto.

Un mio lettore mi ha perentoriamente ordinato di fare le köttbullar, ovvero le famose polpette svedesi, dicendo anche che di ricette in giro ne ha lette tante, ma lui vuole LA viKiricetta, la unica e sola. E ha detto tutto ciò con un tono talmente convincente che io ho passato tutto questo tempo a cercare su mille libri e a intervistare centinaia di svedesi per trovarla.

Caro Felice, tutto questo è per te, spero di non deludere le aspettative, in caso contrario apprezza almeno lo sforzo.

Le köttbullar stanno alla cucina svedese come gli spaghetti al pomodoro stanno a quella italiana. Ogni svedese le sa cucinare più o meno bene, si trovano in quasi tutti i ristoranti e in casa si mangiano abbastanza spesso. Immancabilmente presenti nel buffet di Natale, si dice siano stati introdotte nella viKicucina da Carlo XII di Svezia, che, in esilio a Istanbul, prese la ricetta ottomana e se la portò a casa.
Poi gli svedesi come sempre, presi dall’entusiasmo, esuberano e vai giù di panna, marmellata di lingon, etc.

Io non le avevo ancora mai cucinate, sia perché questo blog si chiama “nonsolopolpette” e quindi ritardavo il momento della resa dei conti con le polpette, pietra miliare della vikicucina, per licenza poetica; sia perché via vi dico la verità, mi piacciono talmente tanto quelle dell’IKEA che non ne ho mai avuto la stretta necessità.ikea_meatballs

Lo so, dentro le polpette IKEA ci sono i colibatteri, i topi muschiati e i nonni di Varenne, però a me piacciono un casino.
Tra l’altro, a proposito di cavalli & molto poco perspicaci svedesi, ho sentito dire da un viKitizio: “Non capisco perché la gente si lamenti della carne di cavallo nelle polpette IKEA, il cavallo è un piatto molto prelibato e costa anche più del manzo, è come se vendessero oro al posto dell’argento“…

Ecco, io non so se questo biondo dal mascellone inversamente proporzionale alla massa cerebrale scherzasse o dicesse sul serio, ma sono sicura che questa argomentazione è venuta in mente a molte persone, viKi e italiche, per il semplice motivo che l’idiozia è un fattore transnazionale.

E quindi arrivo io con il mio acume a illuminare il vostro brancolare nell’oscura ignoranza.

Antefatto: tempo fa, come ribaditomi anche da un mio lettore, gianvito, un’ispezione alimentare in Repubblica Ceca ha trovato carne di cavallo nelle polpette IKEA (la cui produzione è interamente svedese, i cechi poveracci non c’entrano nulla), che le ha così ritirate dal commercio in ben 13 paesi. L’Italia, che risulta essere al primo posto in Europa per la sicurezza alimentare, ha continuato il lavoro fatto dai cechi, e ulteriori analisi dei Nas hanno comunque mostrato che le polpette equine non provocavano grossi rischi per la salute, quindi trattavasi di ‘sola’ frode.

Eh sì carini, perché se non informi il consumatore sempre di frode si tratta, anche se al posto del manzo ci metti i draghi di Daenerys Targaryen.

E ora rispondiamo al nostro viKiamico con la scucchia, che da solo non ci arriva. Ovvio, il cavallo da ristorazione costa più della wacca da ristorazione (ho il vago ricordo di una pubblicità con uno che diceva “wiwa le wacche”, a voi suona?), quindi sarebbe in effetti molto strano se ci fosse un gombloddo in corso per far mangiare il consumatore in modo più raffinato senza che questo se ne accorga, non trovate?

Ciò si spiega molto semplicemente se invece del cavallo per uso alimentare ci si mettono carcasse di cavalli da corsa.

cavalloculturistaIl cavallo da corsa non è infatti previsto per la macellazione. Anzi, la macellazione del cavallo da corsa è discretamente illegale, e questo perché nell’alimentazione di un cavallo da corsa troviamo ormoni, antibiotici, anabolizzanti e altre cose che aumentino le prestazioni dell’animale fino a farlo diventare il Mickey Rourke dei cavalli. Quindi se ve lo mangiate poi c’è il rischio che defechiate barrette di meitnerio e roentgenio.

Ecco dai, spero che nelle mie köttbullar non ci siano cavalli da corsa. Poi oh, ho fumato quotidianamente un pacchetto e mezzo di sigarette fino a ieri, fare la salutista non mi si addice.

Bene. Riguardo alla ricetta.

Da un punto di vista di cucina filologica, tramite la collazione di varie ricette e lo scarto di evidenti contaminazioni (che di solito però, hanno la tendenza di migliorare il viKicibo, questo va specificato), ho trovato una lectio difficilior ricorrente, che consiste nell’aggiunta di miele, cannella e chiodi di garofano.

Visto che i viKi sono noti per accostamenti strambi (che vi dirò, spesso funzionano benone), ho pensato di essere sulla buona strada e ho deciso di proporre questa ricetta qui.
L’importante, come molte cose in questo mondo, è la dimensione.

In questo caso però la dimensione deve essere ridotta. Molto ridotta.
I viKi ci tengono a specificare che la vera, originale, perfetta, dimensione delle köttbullar è quella di una noce, e più sono tonde, meglio è (ovviamente, per la cottura).

Poi vanno cosparse di una salsa grassa chiamata gräddsås (su cui ho scritto qui, dove ho tra l’altro scritto anche a proposito di IKEA) e servite con patate bollite (o potatismos, detto purè), piselli (o broccoli o anche cetriolini sottaceto), e marmellata di lingon (o mirtillo rosso).

Ecco, e così mi libero del fardello del piatto più conosciuto della cucina viKinga.

Adesso però vorrei specificare una cosa.
Avrete senz’altro notato che lo stile fotografico di questo blog ha attraversato varie fasi: da “gita di prima media con macchinetta usa e getta presa coi punti del Ciocorì“, a “cellulare con fuoco e nitidezza regolabili“, a “ho un i-Pad e spippolo come se non ci fosse un domani e poi miglioro il tutto coi filtrini Instagram”.

Poi è arrivata la fase del “mi avvalgo di un fotografo professionista e vado in culo al mondo”, e qui nonsolopolpette ha fatto il salto di qualità.

Cara Bea, ti ricordi quando (nella fase della macchinetta del Ciocorì) mi apostrofasti con “Ire, carino il blog ma le foto sono una merda” (qui ti detti la risposta)? Bene, PUPPA! (Scherzo, lo sai che ti amo).

E quindi vorrei cogliere l’occasione per ringraziare il fotografo ufficiale di NSP© per l’apparato iconografico del post di oggi sui festival (purtroppo non per la foto del piatto, che come noterete benissimo appartiene alla fase “iPad e filtrini Instagram”, purtroppo il fotografo non c’era) e sfruttare l’occasione per chiedervi secondo voi quanti nella foodblogosfera hanno un fotografo professionista che non solo fotografa i piatti, ma si puppa anche gli avanzi? Ve lo dico io: NESSUNO! Ahahah, tiè!

Bene, tornando a noi.

Little Dragon - Way Out West

Little Dragon – Way Out West. Foto di Gianluca La Bruna gianlucalabrunaphotography.com

Oltre alle polpettine, un’altra cosa molto, molto, molto svedese, sono i festival musicali.

La Svezia ha una fortissima tradizione di musica, tanto da essere il terzo paese esportatore di musica nel mondo (così dice, almeno, e calcolato che sono 9 milioni di persone beh, direi che è tanto). Già vi parlai a suo tempo degli svedesi che dominano le hit mondiali, ma il fenomeno festival è un’altra storia.

Innanzitutto parliamo quasi esclusivamente dell’estate, perché con tutto l’amore per la musica, nessuno andrebbe a vedere dei concerti nel viKiinverno per poi ritrovarsi con le orecchie cianotiche e il moccio al naso stalattitizzato. Quindi da fine aprile verso settembre il calendario svedese è costellato di festivalZ, che possono essere gratis (come il Malmö Festivalen) o molto a pagamento (come il Way Out West a Göteborg).

Ve ne do una carrellata, notate bene che vi do i più famosi nelle città più grosse, se no facciamo notte.

STOCCOLMA:

  • Parkteatern = (giugno-agosto) Ogni giorno. Gratis. Nei parchi di Stoccolma si possono ascoltare concerti, vedere balletti e spettacoli circensi e partecipare agli workshop più vari.
  • Stockholm Early Music Festival = (inizi giugno) Quattro giorni. Gratis. La città vecchia (Gamla Stan) si riempie di concerti di musiche barocche e rinascimentali.
  • Accelerator = (fine giugno) Due giorni. Festival indie-rock frequentato (pare) da ragazzetti più che altro.
  • Stockholm Jazz Festival = (metà luglio ma c’è anche la versione autunnale a ottobre). Una settimana di jazz nell’isola di Skeppsholmen. I concerti partono dal pomeriggio e proseguono la sera.

GÖTEBORG:

Veronica Maggio - Way Out West

Veronica Maggio – Way Out West. Foto di Gianluca La Bruna gianlucalabrunaphotography.com

  • Metaltown = (metà giugno) Tre giorni. Capelloni lunghe, giacche di pelle, borchie come se piovesse e artisti metal della scena mondiale, ci hanno suonato, tra gli altri, i Korn, i Mötorhead, Alice Copper, i Rammstein, Marylin Manson e Cristina D’Avena (no, lei no).
  • Way Out West = (metà agosto) Cinque giorni. Molto costoso ma anche molto bello e enorme, conosciuto in tutta Europa. Dentro il bellissimo parco Slottskogen, concerti dal primo pomeriggio a notte fonda con artisti nazionali e internazionali.

MALMÖ:

  • Malmöfestivalen = Bello. Gratis. Bello. Metà agosto. Una settimana di un milione di concerti gratuiti, sparsi per tutta la città (ma il concerto principale è sempre in Stortorget). Vendono un sacco di cibo per strada e ci sono tipo workshop di cucina, cose per bambini, spettacoli di danza, tutto.
  • Goodnight Sun = Non è un vero e proprio festival ma secondo me è una cosa bellissima. Luglio, dall’1 al 21 ogni sera al tramonto (quindi verso le 21:30) concerti sul ponte Hoppbryggan a Västra Hamnen (il posto è detto “Titanic” perché sembra una prua, e la mia amica Francesca ha anche delle foto molto compromettenti di me e del mio principe consorte che facciamo i cretini come Rose e Jack. Lo so, pensavamo di non essere ripresi).

    Icona Pop - Malmöfestivalen

    Icona Pop – Malmöfestivalen. Foto di Gianluca La Bruna gianlucalabrunaphotography.com

UPPSALA:

  • Uppsala Reggae Festival = (prima metà di agosto). Tre giorni di raggae svedese ma non solo. non ho capito se si paga, quanto si paga, né dove sia esattamente nella città. Seguite il suono dei djambé.

UMEÅ:

  • Umeå Open = Fine marzo. Sei giorni. Costa non eccessivamente ma costa. Fa regolarmente il tutto esaurito. Artisti di tutto il mondo, svedesi e svedesi conosciuti anche in ambito internazionale (es. The Ark).
  • Umeå Jazz Festival = Autunnale, metà ottobre. Cinque giorni in cui nel freddo viKinord ci si scalda a colpi di jazz.
  • Forlorn Fest = Ultimo weekend di novembre (nel nord i concerti gli garbano ghiacci). Musica pestona underground.

ALTRI FESTIVAL IN ALTRI POSTI:

  • Melodifestivalen = (non è estivo, si svolge a febbraio, ma è negli studi televisivi come San Remo, quindi non conta). Competizione, più che festival. Musica commerciale in TV, si vince col televoto, si trasmette sulla televisione pubblica. Cose a cui siamo abituati anche noi, ma andava menzionato.
  • Sweden Rock Festival = a Norje. Prima settimana di giugno. Quattro giorni. Come il nome suggerisce, rock ‘n rooooll. Ci hanno suonato Aerosmith, Guns ‘n Roses, Billy Idol, Europe, Lynyrd Skynyrd, etc.
  • Åmåls Blues Fest = a Åmål. Prima metà di luglio. Quattro giorni di musica bluesettona a oltranza.
  • Hultsfredsfestivalen =  a Hultsfred
  • SIESTA! = a Hässleholm. Primo weekend di giugno. Tre giorni. Il pubblico è prevalentemente nordico (si parla comunque di un casino di gente), con artisti nordici, anche se qualcuno di questi è conosciuto anche a livello internazionale.

    Halkan Balkan - Goodnight Sun

    Halkan Balkan – Goodnight Sun. Foto di Gianluca La Bruna gianlucalabrunaphotography.com

Ecco, calcolate che io ne ho messo solo qualcuno ma ce ne sono in ogni città, ogni giorno, per ogni genere musicale, sempre, ovunque.

La particolarità dei viKifestival è che sono bellissimi.

Indipendentemente dal tipo di musica proposto è proprio ganzo vedere come se la vivono gli svedesi: bambini, vecchietti, donne gravide, pischelli, alcolisti anonimi e meno anonimi, chiunque si gode la musica. E cosa ho notato io è che ognuno di loro se la gode rivendicando orgogliosamente la propria appartenenza a una delle categorie sociali summenzionate.

Mi spiego meglio: a Livorno (e probabilmente non solo lì), vediamo la figura del/della vecchio/vecchia adolescente. 45enni tatuati e pieni di piercing coi capelli ossigenati alle spalle che surfano, o 50enni zoccolone con le minigonne e le ciccine mosce delle cosce che gli ricadono sul ginocchio osteoporotico, che gozzovigliano mezzi briai nei posti normalmente frequentati da gente che potrebbe derivare dai gameti del frutto dei loro gameti, e che parlano e si atteggiano come ragazzini delle medie.

Bene, io di vecchi del genere a Malmö ne ho incontrati pochissimi. Mentre ho invece potuto ammirare in questi concerti parecchie persone anziane danzanti e dignitose, sorridenti e felici di condividere musica e spazi con altri sorridenti come loro.

E così ho visto anche giovani babbi che si portano il marmocchio al concerto di elettronica e ci ballano insieme, che si portano il neonato al sacco munito di cuffione antirumore e se lo dondolano mentre ascoltano il loro gruppo preferito.

E a me questo piace!

Mi piace perché io non sarò mai una che “fa la mamma” (come fosse un mestiere), schiava dei figlioli e priva di una dimensione tutta mia di realizzazione e divertimento, mentre mio marito non fa un cazzaccio nulla e faccio tutto io, così come non sarò mai una vecchia bavosa che si gratta le chiappe, compra il fumo dai bimbetti coi rasta e si siede scosciata sul marciapiede con dei jeans stretti che mostrano un piede di cammello risalente al pleistocene.

Pubblico capelluto in estasi per i Motörhead - Malmöfestivalen

Pubblico capelluto in estasi per i Motörhead – Way Out West. Foto di Gianluca La Bruna gianlucalabrunaphotography.com

I festival in Svezia sono, certo, fatti anche per i superbriai, ma non c’è solo questo. Complice la musica, complici i parchi o le piazze del centro in cui questi concerti si svolgono, si riscopre una convivialità davvero sana (lontana da quella malata delle feste universitarie, ad esempio, dove è invece prassi comune vomitarsi addosso a idrante e non capire una sega, altrimenti sei out), in cui i viKi riscoprono anche una dimensione esterna alla casa.

Perché io credo che il clima influisca sul tipo di socialità: feste in casa, giochi da tavolo, cene lunghissime, serate film, etc. Qui non siamo a Barcellona o a Roma, la vita di piazza in Svezia non esiste. D’estate c’è il pub al massimo, ma non c’è la piazzetta. E d’inverno ci sono solo le case delle persone, quindi o hai amici da invitare, o vivi con qualcuno che ti migliora la vita e ti dà serenità, oppure è probabile che tu finisca a cercare su Google come si fa un nodo scorsoio.

Ecco, nei festival forse si concentra nel giro di 4, 5 giorni un’ansia di stare insieme sotto un comune denominatore che non sia il coma etilico, e io la trovo una cosa splendida.

Via, ora non vi voglio fare piangere, insomma, anche meno. Però se vi capita andateci! A uno a caso! Anche se siete incinte di 8 mesi, anche se avete 93 anni, anche se avete i bimbi piccoli, anche se siete disabili, che qui è tutto attrezzato per migliorarvi la vita, e di sicuro sarà pieno di persone nella vostra stessa situazione che ridono e ascoltano la musica. Magari anche musica di merda. Ma almeno ridono.

Rocchenroll.

INGREDIENTI PER 4 PERSONE:

  • 1/2 cipolla gialla
  • 1 cucchiaio di burro
  • 1 cucchiaio di fecola di patate
  • 1 dl di latte
  • 0,5 dl di panna fresca
  • 60 gr. di pangrattato
  • 500 gr. di macinato di manzo
  • 2 uova
  • 1 cucchiaio di miele
  • pimento (se non lo trovate usate il pepe nero)
  • un pizzico di cannella
  • un pistillino di chiodo di garofano sbriciolato
  • un pizzico di sale
  • un pizzico di pepe bianco
  • un pizzico di noce moscata
  • margarina per cuocere
  • gräddsås

PREPARAZIONE:

Tagliare finissimamente la cipolla e soffrigerla nel burro finché non diventa trasparente. Far raffreddare.

Sciogliere la fecola nel latte mischiato alla panna e aggiungere il pangrattato.

Aggiungere a tutto ciò la cipolla, la carne, le uova, il miele, tutte le spezie e il sale.

Fare delle palline della dimensione di una noce, cercando di farle tutte uguali, altrimenti la cottura verrà un troiaio. Cuocerle nella margarina.

Cospargerle di gräddsås.

Köttbullar pronte!

Köttbullar pronte!

Buon appetito!

I.

Äggtoddy, finlandssvenska e dolcissimi Mumin

Io sono quella delle ricette postate a cazzo. Infatti questa è una bevanda pasquale.

Kevin McKidd, aka Tommy, aka dottor Hunt

Kevin McKidd, aka Tommy, aka dottor Hunt

L’äggtoddy è una bevanda molto dolce a base di uovo e cognac (ma c’è anche chi ci mette rum, o whisky o calvados o, Sacré Bleu, lo analcolizza), ed è sostanzialmente la stessa cosa dell’eggnog, bevanda natalizia, non pasquale, diffusissima in Canada e Stati Uniti, della cui esistenza so grazie a Big Bang Theory, How I Met Your Mother, Grey’s Anatomy, e altre mille serie yankee che mi guardo con eguale ingordigia nelle mie segrete stanze, quando smetto di essere una persona seria e piango per l’Alzheimer della moglie del dottor Webber.

Tra l’altro, mi sono sentita particolarmente deficiente per non aver riconosciuto subito nel dr. Hunt il povero Tommy di Trainspotting, voi lo avevate notato?

Grey’s Anatomy a parte, l’äggtoddy può essere servito molto caldo, molto freddo con ghiaccio dentro, molto alcolico, molto dolce, molto speziato, insomma, potete modificare la ricetta come vi pare, tenendo comunque presente che l’uovo e il cognac tendono ad aumentare in modo sproporzionato la forza gravitazionale che attira il grasso sottocutaneo della vostra panza al terreno. Quindi andateci piano ché se no poi strisciate come le bisce.

Tempo fa un tipo svedese mi fece notare che gli italiani passano molto, moltissimo tempo a parlare della loro digestione, forse ve lo avevo già accennato, e difatti in tutte le pagine Wikipedia in lingue a me note non c’è il minimo accenno alle difficoltà digestive che l’äggtoddy provoca se non, naturalmente, in quella italiana.

Dai via, provate ad andare per strada e chiedere a caso alla gente: “Ti piacciono i peperoni?“. Secondo un mio umile pronostico, su dieci persone 6 risponderanno con “Molto, ma non li digerisco bene”, 3 con “Molto, e li digerisco senza nessun problema”, e soltanto una reagirà con un “Sì/No”.
Oppure fate anche caso al fatto che se in un caldo pomeriggio estivo si parla di anguria, nel gruppo ci sarà sempre il saccente che informa gli altri con un tono di voce reso più acuto da un rovente autocompiacimento: “Eppure sembrerà strano, ma l’anguria è sorprendentemente indigesta“, tra gli “uuuuuh” sorpresi degli astanti.

Bene, Wikipedia italiana avverte che l’äggtoddy si digerisce male, e quindi ecco, visto che voi siete italici, io vi ho avvertito.

Tutte le varie cose che possono essere infilate nell'äggtoddy

Tutte le varie cose che possono essere infilate nell’äggtoddy

Come vi dicevo prima, le varianti sono infinite. La costante sono sempre tuorli e zucchero, ma le altre cose le mettete a caso.

Innanzitutto l’äggtoddy può essere alcolico o analcolico, ci si può aggiungere latte o acqua o un po’ di salsa di vaniglia, ci si può mettere del cacao o delle arance candite, della cannella, della noce moscata, dei pezzettini di mela o delle fragole o altre bacche. A volte ci si mette anche il bianco dell’uovo montato a neve a parte.

Altre varianti note sono: quella con panna montata, quella con mandorle tostate, quella con fiocchi di cocco, e quella con le caramelle dentro, per i bambini pare. A me l’idea di infilare le caramelle in un bicchiere di uova e latte mi avrebbe rovesciato lo stomaco anche a 5 anni, ma i bimbi viKinghi non sentono cazzi.

Una variante che ha un suo statuto istituzionale, come dimostrato da un nome tutto per sé, è l’Hobbel Bobbel, che è la variante più sgrausa di tutte, perché è composta da uova e zucchero e servita a temperatura ambiente. That’s it.

Ma per quanto sia, come potete notare, una variante inutile e pallosamente fastidiosa, la Hobbel Bobbel a noi ci interessa molto perché ci permette di affrontare un discorso serio che riguarda la linguistica (vi mancava vero?), però dai, in modo meno noioso di altre volte.

Dunque la Hobbel Bobbel fu inventata negli anni ’60-’70 nell’Uusimaa (in svedese Nyland), una regione della Finlandia meridionale che fino non molto tempo fa era una zona in cui si parlava quasi soltanto lo svedese. Poi col tempo i finlandesi si sono giustamente rotti le balle di essere i deficienti obbligati a parlare la lingua dell’invasore, e per evitare di finire come i Celti, hanno ripreso le penne e ora parlano in finlandese che è un piacere.

Apertura estiva di una discoteca di tendenza in Osterbotten

Apertura estiva di una discoteca di tendenza in Osterbotten

Lo svedese di Finlandia (o finlandssvenska) indica l’insieme dei dialetti svedesi parlati in Finlandia come lingua madre dagli svedesi di Finlandia. Questi dialetti vengono racchiusi sotto un’unica denominazione perché sono fondamentalmente intercomprensibili, tranne alcuni dialetti dell’Ostrobotnia (o Österbotten) che non li capisce una sega di nessuno, né svedesi, né finlandesi, né finlandosvedesi. Tanto capirai, in Ostrobotnia fa troppo freddo per parlare.

Il finlandosvedese è considerato una lingua ufficiale ed è parlato dal 5% circa dei finlandesi come madrelingua, e da quasi tutta la popolazione delle isole Åland, ufficialmente sotto la Finlandia, tecnicamente autonome, praticamente svedesi.

Lilla My

Lilla My

Un personaggio finlandosvedese particolarmente simpatico fu Tove Jansson, una scrittrice e pittrice che inventò i Mumin, libri per bambini con protagonisti dei troll bianchi col nasone particolarmente pacioccosi attorno ai quali ruotano altri personaggi, di cui il mio preferito è Lilla My, perché è esattamente come me: piccola, casinista e sempre incazzata.

In Finlandia dedicati ai Mumin troviamo un parco a tema vicino a Turku, e un museo tutto per loro a Tampere. E io vorrei tanto andare in entrambi questi posti, però siccome devo mantenere un certo decoro devo aspettare di sgravare una creatura o rapirne una già sgravata da qualcuno, così posso dire che ho portato il pupo a divertirsi, mentre invece mi faccio fare le foto con i pupazzoni.

Tornando alla nostra ricetta, ve ne do una abbastanza basilare però stilosa, ovvero ci aggiungo una spruzzatina di panna e delle stecche di cannella per guarnire, comunque se voi volete aggiungere o togliere cose fate pure, se poi inventate qualcosa di particolarmente cazzuto fatemelo sapere. Però ecco, l’alcol ce lo metto, quello sì, cribbio.

INGREDIENTI PER 2 PERSONE:

  • 2 tuorli
  • 4 cucchiai di zucchero a velo
  • 2 cucchiai di cognac
  • 2 bicchieri di latte intero caldo
  • 3 o 4 cucchiaiate di panna montata
  • 4 stecche di cannella

PREPARAZIONE:

Sbattere i tuorli con lo zucchero finché non diventano spumosi. Bollire il latte e versarlo lentamente sopra i tuorli mescolando continuamente. Aggiungere il cognac.

Aggiungere panna montata e guarnire con un paio di stecche di cannella per bicchiere.

Äggtoddy pronto!

Äggtoddy pronto!

Buon appetito!

I.

Våfflor, copimismo e religioni del cazzo

piastra

La mia bellissima piastra

Non c’è stato niente da fare, ho deciso di fare un altro dolce. Sono sotto tesi e in carenza d’affetto, in Toscana piove as usual, fa freddo e quindi i maglioni nascondono il fatto che io sia grassa, e in più ho comprato una fantastica piastra per waffel, che mi implorava di essere immediatamente usata non appena avessi barbaramente distrutto l’imballaggio.

E chi sono io per dire no ad una piastra per waffel? Nessuno, quindi famo ‘sti waffel.

In Svezia i waffel si chiamano våfflor.

E comunque vedo su Wikipedia che in Italia sono conosciuti anche come gaufre, che sono ‘parenti prossimi’ dei pancake, e della stessa famiglia di crêpe, canestrelli, tegole dolci (che non so cosa cazzo siano), e se seccati si trasformano in wafer e coni gelato.

Non avevo idea che ci fosse una classificazione linneana dei biscotti a cialda. Si impara sempre qualcosa.

In Svezia ad ogni modo i våfflor hanno la tipica forma a 5 cuoricini uniti in modo da sembrare un fiorellone, che è peraltro la forma della mia piastra nuova di zecca, perché io se devo fare le cose le faccio per bene, cribbio.

E’ dal 1600 che nelle case svedesi si cucinano i våfflor, e siccome ve l’ho sempre detto che gli svedesi sono pedanti, ogni variante dei våfflor in svedese non si limita a chiamarsi “variante di våffla“, ma ha uno stupido nome. Io ora non sono una grandissima esperta di våfflor, per cui non vi sto a ammorbare con le differenze tra varianti e rispettivi nomi anche perché non lo so, però fidatevi che è così.

Ma anche un’altra cosa tipicamente viKi è strettamente legata ai våfflor: il fatto che il calendario svedese preveda un cazzo di giorno del våffla, il Våffeldagen, che è il 25 marzo.

C’è un giorno per tutto in Svezia. Un po’ come la leggenda metropolitana sulla Svizzera, che se lavi la macchina un giorno che non sia il sabato subisci un ostracismo sociale, perché il “giorno di lavamento macchina” è il sabato. Cose che noi terroni non riusciamo a concepire neanche con uno sforzo psichico sovrumano.

Sì lo so, stavolta sono stata puntuale, nonostante normalmente vi posti le ricette di Natale a febbraio o cose così, ma tanto voi capitate su questo blog solo perché cercate i “culi di maiale svedesi” (per approfondimenti sulle vostre ricerche, vedi qui), quindi spero che mi perdonerete.

By the way, il 25 marzo si mangiano i våfflor per festeggiare l’Annunciazione, ovvero il momento in cui l’arcangelo Gabriele è andato da Maria a dirgli “Cara, ti devo parlare. Puntini di sospensione”. Prima volta in cui il discorsetto viene fatto da un uomo a una donna (sì ok, gli angeli non hanno sesso, ma questo si chiama Gabriele). Che sì, insomma, ciò ha anche senso, perché poi Gesoo è nato il 25 dicembre, quindi la Vergine in stato interessante 9 mesi di gestazione se li è fatti. Cosa che invece non torna se si festeggia l’Immacolata Concezione l’8 dicembre, per cui la Madonna dovrebbe aver avuto una gravidanza o di 17 giorni (roba che nemmeno gli orsetti russi) o di 382 (ovvero più di un anno di dolori articolari, nausee, pesantezza e astensione da alcol&cicchini, essendo oltretutto vergine… inculata maxima).

Ma poi invece pare che l’8 dicembre si festeggi qualcos’altro, in realtà, qualcosa sul peccato originale di Maria che non mi ricordo e non ho voglia di cercare. Anche perché, ecco, ce ne frega qualcosa? No, bene.

Comunque, alla fine delle fatte fini, quel giorno i viKi mangiano våfflor, bella per loro.

Potete cucinarli anche senza l’apposita piastra, e li fate tipo crêpe, però la cosa bella di avere una piastra per våfflor è che vengono tutti bellini uguali che sembrano fatti con il CTRL+C; CTRL+V.

E agli svedesi il copia e incolla piace parecchio, tanto che hanno una religione che celebra proprio questo.

No, non ho bevuto, dico davvero.

Allora, dovete sapere che in Svezia le confessioni religiose hanno cospicui sgravi fiscali (tipo l’esenzione IMU de’ noantri), e ciò a parere mio, ed evidentemente non solo mio, non è per niente giustino.

No, perché se io sono una cazzo di organizzazione atea ma promuovo cose ganze tipo, che so, ripetizioni gratuite a ragazzini che vanno male a scuola, corsi di cucito a ex galeotti, lezioni di shàolínquán a vecchiette aggressive, etc. non risparmio il becco d’un quattrino, in compenso se ululo al cielo che un’entità invisibile ma che permea l’universo risolverà tutti i miei problemi se porgo l’altra chiappa, ho aiuti economici.

Isak Gerson

Isak Gerson

Allora uno studente di filosofia molto gggiovane e astuto, tale Isak Gerson, ha voluto creare una nuova religione per avere anche lui un alleggerimento delle tasse. Non che non lo avesse anche prima, essendo tesoriere anche del Movimento degli Studenti Cristiani di Svezia (sì, esiste davvero), ma evidentemente ne voleva un po’ di più.

Per cui si è inventato un nuovo credo, e lo ha chiamato kopimism, in italiano “copimismo” (dall’inglese copy-me). Evidentemente il buon Isak doveva essere un nerdone di quelli seri, insomma: tesoriere degli studenti cristiani, particolarmente cesso e particolarmente genialoide = la sua vita sociale doveva limitarsi alle pippe su internet, e infatti proprio dall’informatica (no, non dalle pippe) ha preso ispirazione.

La religione copimista infatti si propone di diffondere ogni tipo di informazione per via telematica, si oppone al copyright in ogni sua forma e incoraggia ogni tipo di pirateria su ogni tipo di medium.

Inizialmente le richieste del movimento di essere riconosciuto come comunità religiosa furono rigettate diverse volte da persone dotate di buon senso. Però spesso il buon senso e la legge sono due cose diverse. E alla fine hanno dovuto riconoscerlo.

Anche perché alla fine, se riesci a sfruttare la legge per fare liberamente i cazzi tuoi, vuol dire che è la legge il problema più grande, perché è fatta col chiulo. Condono docet.

Logo della Chiesa copimista, suoi simboli sacri e unico comandamento.

Logo della Chiesa copimista, suoi simboli sacri e unico comandamento.

Poi oltre ai soldi c’è anche la questione sottile della “protezione delle comunità religiose” in Svezia, e farsi riconoscere come religione per questa ghenga di tangheri che si definiscono “copimisti” vorrebbe dire anche ottenere una sorta di protettorato continuando a esercitare (e molto probabilmente lucrare su) la pirateria.

Che poi alla fine a me la pirateria mi sta anche simpatica in linea di massima, però è un po’ come il discorso Megavideo, no? Io diffondo materiale soggetto a copyright, però te lo rovino un pochino, e se te lo vuoi tutto per benino mi paghi… ecco, che differenza c’è allora tra te e una mayor? Voglio dire, se ci lucri sopra mi stai sul cazzo, perché dietro a espressioni pompose di “libertà dell’informazione”, “intelligenza collettiva”, “patrimoni intellettuali universali” si nasconde in fondo in fondo, uno stronzone come gli altri.

Poi ci mancherebbe, magari i copimisti sono solo una banda di gonzi, ma io sono dell’idea che a pensar male si fa peccato ma quasi sempre ci s’azzecca, quindi diffido.

Per essere definiti comunità religiosa i copimisti si sono dovuti inventare simboli, liturgie e credo, e quindi i loro principi sono: “Copio dunque sono”, “Copiare è cosa buona e giusta”, “L’informazione è sacra e la copiatura è il suo sacramento”. Il credo da pronunciare è: “Credo nella moltitudine dell’informazione, santa, e accessibile a tutti, credo nel copia-incolla; al libero scambio di canzoni, filmati e documenti”. I simboli sacri sono CTRL+C e CTRL+V.

No ma gente, non sto esagerando stavolta, eh. E’ davvero così.

Matrimonio copimista: notare la maschera del 'prete', il reggiseno della sposa, e i capelli dello sposo.

Matrimonio copimista: notare la maschera del prete, il reggiseno della sposa, e i capelli dello sposo.

Il 28 aprile dell’anno scorso a Belgrado si è celebrato il primo matrimonio della Chiesa missionaria del Copimismo (che a questo punto vuol dire che è sbarcato anche in Serbia, a dimostrazione del fatto che l’erba più fertile sono le stronzate apocalittiche).

Che poi è il discorso che facevamo l’altra volta sulla Chiesa anglicana, no? Io capisco che uno ci prova a inventarsi una religione per fare i cavoli suoi, nel caso di Enrico VIII divorziare, per esempio, ma è la gente che ci crede che mi sdubbia.

Sì ecco, come si fa a meravigliarci di come ideologie pericolose e folli prendano piede nel mondo, se c’è anche solo un gruppetto che crede in cose come il copimismo?

Bah, comunque, lasciando perdere i malati mentali, i våfflor sono buonissimi, e io sono molto orgogliosa della mia nuova piastra.

E del mio ateismo.

INGREDIENTI PER CIRCA 10 VÅFFLOR:

  • 125 gr. di burro
  • 270 gr. di farina
  • 1 cucchiaino di lievito in polvere
  • 5 cucchiai di zucchero
  • 1 bustina di vanillina
  • 100 ml di latte intero
  • 500 ml di panna fresca
  • 2 uova
  • 2 dl di acqua fredda di frigorifero
  • 20 cucchiaiate abbondanti di lamponi e marmellata di lamponi (o fragole, o mirtilli, o frutti di bosco, o more)
  • frutti di bosco vari a piacere

PREPARAZIONE:

Sciogliere il burro e farlo raffreddare. Mischiare farina, lievito, zucchero e vanillina in una terrina e aggiungere il latte e 1 dl di panna (il resto andrà poi montato per farcire i våfflor).

Sbattere brevemente le uova e aggiungerle al composto. Aggiungere il burro.

Aggiungere lentamente l’acqua fredda e mischiare.

Coprire e lasciare riposare per una ventina di minuti.

Riscaldare la piastra per våfflor, o una per crêpes, o una padella antiaderente, imburrarla e versare una mestolatina di impasto. Far dorare.

Montare la panna rimasta e versare su ogni våffla un paio di cucchiaiate di panna, un paio di marmellata, e cospargere di lamponi (o le bacche che avete usato).

Våfflor pronti!

Våfflor pronti!

Buon appetito!

I.

En riktig svensk jul (part III): zafferano, demonio e lussekatter

Io loro li amo. Però non hanno riscosso molto successo nelle cene che ho fatto nel Belpa, perché gli italiani si lamentano del fatto che “non sono abbastanza dolci”.

Stica, a me piacciono. Poi sono carini perché grazie allo zafferano che contengono (tra l’altro, ce ne va uno sbotto) sono giallissimi. E poi a me i dolci stucchevoli mi fanno cagare, quindi loro li approvo.

Vi do un avvertimento: se li fate seguendo quasi tutte le ricette italiane che trovate in rete, vi verranno dei mattoni durissimi. Il segreto è la kesella, presente in tutte le ricette svedesi (almeno in tutte quelle che ho trovato io), che sarebbe il nome commerciale del kvarg, nome svedese del quark, non il noto fermione, ma un crucchissimo formaggio che viene spesso tradotto con “ricotta”, ma che in realtà può essere sostituito dal Philadelphia.

Kesella

Kesella

Questo vuol dire che per quanto riguarda le ricette di lussekatter scritte nella nostra nobile favella, la mia ricetta è la meglio di tutte. Non c’è versi.

Da quando seguo le ricette svedesi (rintracciando libri regionali-tradizionali-originali, o siti particolarmente fatti bene, e in qualche caso innestando le ricette tra loro per trovare la migliore, in un’opera di contaminatio filologicamente discutibile ma che si rivela quasi sempre la scelta migliore), la mia viKicucina è infatti nettamente migliorata, e i miei lussekatter non sembrano più fatti di fullerite, ma sono belli sofficiosi.

Quindi ho risolto almeno questo problema della mia vita, ed è già qualcosa.

Bon, i lussekatter sarebbero delle brioscine di zafferano, tipo pagnottine, che sono associate alla festa di Santa Lucia e al Natale.

Ecco, l’eziologia dei lussekatter pare che si ritrovi in una leggenda tedesca del 1600: secondo questa storia, Lucifero ammazzava il tempo graffiando e mordendo dei bambini (facendo la parte del proverbiale gatto attaccato ai proverbiali maroni), e Gesù volle intervenire travestendosi da (o incarnandosi in un, non ho ben capito) bambino.
Siccome Gesù nelle leggende è notoriamente buono, e lo è anche in questa, distribuiva dolcetti ai bambini buoni come lui, e per tenerli lontani dal suddetto gatto-diavolo, faceva sì che fossero dei solini splendenti (perché il demonio al sole reagisce come Maga Magò), e infatti la forma originaria di questi dolci era a solino giallo di zafferano.

Evidentemente Gesù deve essersi detto: “Perché combattere il Male supremo con il disarmo nucleare, la cura per il cancro, o la comunanza dei mezzi di produzione quando puoi offrire in giro dei lussekatter?”. Ognuno fa i suoi errori di valutazione, anche se è il figlio del boss.

Lussekatt fatto a solino/svastica

Lussekatt fatto a solino/svastica

Questo solino stilizzato comunque veniva fatto facendo una croce di pasta e uncinandone i bordi, poi però questo simbolo è diventato inspiegabilmente fuori moda, e la forma oggi più comune (quella che trovate anche nei lussekatter del Pressbyrån) è a S, con un uvetta dentro entrambi i riccioli della S.

Tutta questa storia della luce per tenere lontano Lucifero si riversò allora nella festività della santa della Luce, Lucia, e lussekatter sono stati da allora per sempre associati a Santa Lucia. Talmente indissolubilmente legati che gli stessi svedesi fanno casino sull’etimologia del nome, perché Lusse katter non sta per “gatti di Lucia”, ma per “gatti di Lucifero“, in quanto Lucifer (la in svedese si pronuncia [s]) è abbreviato in Lusse, per lo stesso principio per cui il nome Karl si abbrevia in “Kalle”, il nome Fredrik in “Fredde”, e così via.

Alla fine del 1600 dalla Germania infatti i lussekatter erano stati introdotti in Svezia, inizialmente soltanto nelle regioni intorno al lago Mälaren, in Östergötland e sull’isola di Gotland, e poi nell’ ‘800, quando il culto di Santa Lucia si diffuse in tutta la viKinghia, in ogni parte della Svezia.

Comunque la dimostrazione dell’origine del nome si ha anche per il semplice fatto che in qualche parte della Svezia, questi dolcetti venivano fino a non molto tempo fa chiamati anche dövelskatter o dyvelkatter, viKiforme un po’ arcaiche per indicare “diavolo”.

Sì poi ad ogni modo l’origine del nome continua a essere dibattuta, perché i linguisti non hanno mai una sega da fare, e quindi così, a tempo perso, dibattono.

Alcuni dei modi di modellare i lussekatter

Alcuni dei modi di modellare i lussekatter

Bene, esistono milioni di forme di lussekatter (NB ognuna di esse ha un cazzo di nome), e di varianti (tipo senza uvette ma con la granella di zucchero, con la pasta di mandorle, con la farina di mandorle, etc.), ma la versione che vi posto io è quella più comune. Anche come forma. Se poi volete costruire cose assurde tipo il pane votivo sardo, fate pure, io li ho fatti senza sbatti, visto che sono già indietro sul cibo natalizio e non ho tempo per stracciarmi le balle a fare delle composizioni artistiche.

Le dosi che vi do sono per 34 lussekatter. La ricetta diceva 40, ma io li ho fatti più ciccioni del previsto perché sono ancora una principiante nell’arte del lussekatteraggio, ed è un po’ come le canne, le prime che rolli ti vengono sempre troppo panzute.

Ad ogni modo potete dimezzare tutto se non li avete mai assaggiati, perché appunto, alle altezzose papille italiane non è detto che piacciano, dato che è un sapore davvero ‘estero’. Però provateli, davvero, perché regalano delle emozioni, specie se consumati con il glögg.

Quando vi ho detto che rimangono molto più morbidi del previsto grazie alla scoperta del Philadelphia nell’impasto è vero, però se li conservate a merda si induriscono anche loro, quindi magari metteteli in dei tupperware o in delle bustine. Potete anche congelarli e tirarli fuori all’occorrenza, scaldandoli nel microonde e sbranandoveli avidamente tutti tiepidini.

Non so come io abbia ancora la forza di parlare goduriosamente di cibo dopo questi giorni di fondismo alimentare.

INGREDIENTI PER UNA 40INA DI LUSSEKATTER:

  • 50 gr. di lievito fresco per dolci
  • 150 gr. di burro
  • 1/2 l. di latte intero
  • 250 gr. di Philadelphia
  • 2 uova (uno è per guarnire)
  • 1 gr. di zafferano (no, non avete letto male, è proprio un grammo, frugatevi le tasche che costa tanto)
  • 1 pizzico di sale
  • 250 gr. di zucchero
  • 1 kg. di farina
  • 80 chicchi di uvetta

PREPARAZIONE:

Sbriciolate il lievito fresco in una terrina. Sciogliete il burro in un pentolino, aggiungete il latte e riscaldate fino a raggiungere la temperatura-dito (37 °C).

Versate lentamente tutto sul lievito fino a sfarlo completamente. Aggiungete un uovo, il Philadelphia, lo zafferano, lo zucchero e il sale. Mescolate con le fruste elettriche e aggiungete la farina.

Vi verrà una cosa parecchio appiccicosa, ma voi fregatevene, ungetevi le mani con un po’ d’olio e impastate bene. Coprite con un canovaccio e fate riposare per 30 minuti.

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Infarinate un piano e metteteci l’impasto. Dividetelo in 4 parti e da ogni parte ricavate 10 striscioline abbastanza sottili (tipo un centimetro e mezzo di diametro). Fate una S con ogni strisciolina arricciando bene le estremità su se stesse (come nella foto) e mettete un uvetta al centro di ogni ricciolino. Fateli abbastanza sottili perché gonfiano un casino.

Coprite di nuovo con un canovaccio e fate riposare altri 30 minuti.

Nel frattempo scaldate il forno a 225 °C.

A questo punto ricoprite una teglia di carta da forno e appoggiate pochi lussekatter, distanziandoli parecchio tra loro perché continueranno a gonfiare durante la cottura. Vi serviranno diverse infornate, sappiatelo.

Con l’altro uovo spennellateli uno ad uno e infornare per circa 10 minuti, quando avranno un bel colore marroncino chiaro sopra e giallo ai bordi.

Fate raffreddare sotto un canovaccio e riponete in contenitori ermetici.

Lussekatter pronti!

Lussekatter pronti!

Buon appetito!

I.

Kantarellsoppa e orientering: come non perdersi quando si va a cercare finferli

Oggi vi propongo un classicone, uno di quei piatti che se volete mimetizzarvi tra la viKifolla non potete fare a meno di degustare: la kantarellsoppa, ovvero “zuppa di galletti” (o finferli, dei cui milioni di nomi nella lingua italiana vi ho già accennato qui).

Vi avverto che questo è un post noioso, perché se nel mondo esistono i collezionisti di francobolli e i giocatori di golf, esistono anche gli appassionati di micologia, e quindi questo post è per voi, care categorie di persone pallose. Voglio bene anche a voi e vi capisco (io nei tempi morti leggo libri di fonetica, quindi sono nel grande circolo dei loser insieme a voi, tranquilli).

Kantareller al mercato

Non mi ricordo se ve l’ho già detto, e siccome sono pigra non ho voglia di andare a rileggermi i vecchi post per verificare, ma i galletti in Svezia regnano. In questo periodo, diciamo da inizi ottobre a inizi dicembre, ve li ritrovate dappertutto, tutti belli giallini che colorano le bancarelle.

In Svezia costano pochissimo, ora non saprei dirvi quanto perché l’ho scordato, ma molto meno che nel Belpa, comunque, e quindi la cucina svedese approfitta di questa profumatissima materia prima, inserendola in un trilione di ricette.
Non ve le dico tutte perché se no poi mi rovino la piazza, e io devo incuriosirvi ma non darvi troppi elementi, se no poi questo blog non se lo incula più nessuno.
Comunque io ho avuto il piacere di assaggiare la salsa di finferli, il toast di finferli, l’omelette di finferli (esagerata, tra l’altro), e la nostra kantarellsoppa (faccio come Camilleri e il siciliano, non ve lo dico esplicitamente che finferli in svedese si dice kantareller, perché voglio vedere quanto è arguto il mio lettore medio), che assaggiai per la prima volta ad un mercatino di Natale a Uppsala, con neve alta milllllle metri e -26°C, e fu provvidenziale oltretutto, perché grazie al caldino della zuppa le stalattiti all’interno del mio apparato cardiovascolare si sciolsero e ricominciai ad avere un abbozzo di circolazione sanguigna.
Quindi insomma, l’imprinting è stato il migliore che si poteva avere.

Ecco, ora voi penserete a una zuppina tutta bellina magra e sana, perché siete stolti, e vi dimenticate che la cucina svedese tradizionale la roba magra e sana non la prevede. Solo in Svezia si può rendere grassa una zuppa di funghi (che comunque sì, con l’era glaciale che ogni inverno si abbatte su quelle terre climaticamente inospitali, un po’ di grassi saturi vi fanno anche bene, e poi vi basta sbattere le palpebre che li avete bruciati), e come? Semplicemente con burro e panna in proporzioni pantagrueliche, come ormai questo blog cerca da tempo di insegnarvi.

I finferli abbondano nelle foreste di conifere, e dice che sono talmente facili da riconoscere che sono i funghi preferiti per chi ha paura di farsi uno spaghettino e morire di convulsioni o avere visioni mistiche, causa scelte azzardate di funghi velenosi. Quindi in teoria sono i funghi per me, perché io sono notoriamente scema, e come vedo una bacca carina me la metto in bocca. Se Sean Penn avesse preso me per Into the Wild, il film sarebbe durato circa il tempo dei titoli di testa invece che 967 ore.

Bene, ma io vi avevo detto che sarebbe stato un post palloso, no? Allora guardate, vengo subito al dunque… Secondo voi cosa si fa in un bosco a parte raccogliere kantareller? Sì sì, ci si possono fare tante cose, da uccidere le coppiette seguendo riti satanici a stare su un ramo con un binocolo in mano e con un taccuino a osservare uccelli (sì, che anche gli ornitologi come pallosità non scherzano)…
Ma no, gli svedesi hanno pensato ad un passatempo più palloso… da da da daaaaan: l’orientering.

L’orientering è una sottospecie di sport sfigato, come molti sport pensati da popoli che vivono al freddo, e non penso solo allo scintillante curling (lo sport degli omoni che ramazzano la neve per far scivolare una specie di teiera), ma anche all’altrettanto inutile biathlon (dove scii e poi spari a caso, così per infilare due cose che non c’entrano un cazzo, come se uno facesse, boh… corsa + ingurgitamento di Big Mac, o salto in alto + declamazioni epiche, sport così, ecco).
Anche se il primo premio IMHO se lo aggiudica un altro colosso… Dunque, io voglio sapere 1) chi ha inventato il dressage, perché spero sia morto soffrendo 2) chi mai nella vita da bambino dice “IO DIVENTERO’ UN CAMPIONE DI DRESSAGE“!

Pisani in tutta la loro pisanitudine

E’ un cazzo di cavallo che balla, levate quella merda dalle Olimpiadi, vi prego (e comunque se mio figlio mi dirà mai che vuole diventare un campione di dressage, la Franzoni sarà stata una povera pivellina, vi avverto). Odio il dressage. Lo odio quasi quanto il gioco del ponte pensato dai pisani (e da chi se no?), dove due squadre di grandi grossi e coglioni vestiti da menestrelli rinascimentali spingono e tirano un carrellino verso la parte opposta del Ponte di Mezzo…

Ma torniamo allo stupido orientering: vi sperdono con una bussola e una mappa, e lo scopo non è spararvi in bocca, come penso speravate, ma ritrovare la strada in meno tempo possibile.

Ecco, siccome c’è un solo modo che ti impone di voler fare uno sport del cazzo, ma n modi di volerne praticare una ancor più stupida variante, abbiamo:

  • differenze sul come si vuole ritrovare la strada (a piedi, in bici, in macchina,  sugli sci, a calci in culo, etc.)
  • differenze sul tipo di circuito
  • differenze sul luogo del circuito (foreste, città, parchi)
  • differenze sulla lunghezza del circuito
  • differenze sul farlo di giorno o di notte
  • differenze su usare o meno, e quali, altri punti di riferimento (stelle, skyline, sole, muschio sugli alberi, briciole di pane, etc.)

In alto da sinistra: Lena Eliasson e Emma Claesson
In basso da sinistra: David Andersson, Gustav Bergman

C’è anche un campionato mondiale di orientering, in cui, va da sé, gli svedesi eccellono, eccelgono, eccellioccano… sono molto bravi.
In Svezia questo sport è regolamentato dalla Svenska Orienteringsförbundet, la Federazione svedese per l’Orientering (me cojoooooni). Ogni anno fanno una loro cerimonia con premi e (presumo) sbronze varie ed eventuali, e parecchie scuole superiori e addirittura università, hanno le loro squadre di orientering.
Volete qualche nome di qualche grande campione? Arrivano: Lena Eliasson, Emma Claesson, David Andersson, Gustav Bergman, etc.

Bene, cari micologi, ornitologi, linguisti, giocatori di golf e filatelici, non vi sentite più sollevati a sapere che al mondo esistono anche dei campioni di orientamento? Beh, io sì…

Comunque sia, Wikipedia svedese mi dice che un buonizzzzzimo modo di servire i galletti è facendo una pasta (o perché no un risotto), con galletti, Jocca e panna acida.
Ecco viKi, io vi prego… occupatevi di renne, di zuppe cicciose, di marmellata con le polpette. MA LA PASTA NO.
Voi la pasta non la dovete toccare, non ne dovete parlare, non la dovete cucinare, e se fosse per me non la dovreste neanche mangiare, visto che la surgelate e ci mettete il ketchup (e secondo me quando non vi vede nessuno ci cagate anche dentro).
Non è il vostro campo, davvero. Nel senso, io la pasta con dentro la Jocca e la panna acida la rivomito a idrante tipo la bambina dell’Esorcista, con una faccia ancora più diabolica…

Ecco, a parte questi squarci di Acheronte che il viKi ai fornelli risveglia sempre, viKiWiki consiglia però poi ottimamente anche di saltare i galletti con burro, scalogno, prezzemolo, un goccio d’aceto che esalta il sapore del fungo, e un goccio di panna che rende tutto più cremoso… Così avete fatto i sauterade kantareller, che è poi la stessa cosa del kantarelltoast, quest’ultimo però, che prevede il mettere il tutto sul pane imburrato… Sì, quest’ultima precisazione potevo risparmiarmela.

Bene, i viki si raccomandano di servire la kantarellsoppa con muffin al Västerbottensost, o pane al Västerbottensost, o comunque Västerbottensost, che è un formaggio molto molto buono del nord della Svezia. Ha un sapore acuto come quello del parmigiano, però la pasta è più grassa e quindi la consistenza è diversa, vagamente tipo Emmental (o Emmentaler, che dir si voglia).

Io ho fatto dei muffin al parmigiano, di cui non vi do la ricetta, sia perché non svedese, sia perché l’ho presa pari pari da uno dei primi risultati di Google, e non voglio copiare gli altri foodblogger (che ho scoperto essere una categoria di persone agguerritissime, che ci credono un casino, non come me che con la scusa del cibo prendo per il culo la biosfera, non solo svedese).

Ecco, comunque, anche se non è per niente viKi, con questa zuppa un Chianti classico Gallo Nero ci sta proprio di lusso!

PREPARAZIONE PER CIRCA 6 PERSONE:

  • 480 gr. di galletti
  • 2 scalogni
  • 5 spicchi d’aglio
  • 80 gr. di burro
  • 1/2 l. di latte intero
  • 2 bicchieri d’acqua
  • 80 gr. di farina
  • 1 dado vegetale
  • 350 ml. di panna
  • 1 goccio di aceto di vino bianco
  • pepe bianco
  • sale
  • 1 o 2 ciuffetti di prezzemolo

PREPARAZIONE:

Lavare bene i funghi. Tagliare gli scalogni, l’aglio e i funghi (lasciatene qualcuno intero da parte per guarnire la zuppa) e far rosolare in una pentola dai bordi alti in circa 50 gr. di burro. Coprire e lasciar cuocere per circa un quarto d’ora a fuoco bassissimo.

A questo punto aggiungere il latte, l’acqua e la farina setacciata e far cuocere per altri 10 minuti, sempre con il coperchio.

Aggiungere il dado sbriciolato, la panna, un pochino di aceto e aggiustare di sale e di pepe. Con un frullino a immersione rendere la zuppa omogenea e portare a ebollizione.

In una padella far saltare nel restante burro per circa 10 minuti i funghi interi precedentemente lasciati da parte, e servire la zuppa aggiungendo i funghi saltati interi e cospargendo con abbondante prezzemolo.

Kantarellsoppa pronta!

Buon appetito!

I.

Ghetti linguistici, sterilizzazioni di massa, xenofobia e… perché no? Kåldolmar.

La ricetta di oggi (i buonissimi kåldolmar) è chiaramente una ricetta dal sapore etnico. Nel senso, appartiene di diritto alla cucina svedese, ma riflette importanti origini ottomane.

Tanto per cominciare, se lo svedesissimo kål sta a significare “cavolo“, dolmar (singolare dolme) è invece una parola di origine turca che indica “ripieno“.

Sono delle polpettine di carne avvolte in una foglia di verza, simili agli involtini greci dove però la foglia è di vite. Si dice che furono introdotti in Svezia perché Carlo II, dopo aver preso gli schiaffi da Pietro il Grande della Madre Russia, andò in esilio in Moldavia, all’epoca controllata dall’Impero Ottomano, poi ritornò in Svezia e si portò dietro qualche ottomanuccio che cucinasse per lui, per cui insomma, si ha ragione di ritenere che i kåldolmar siano presenti stabilmente nella cucina svedese dalla prima metà del ‘700.

Che poi anche la parola dolme ha una storia interessante, visto che, per quanto le sue origini siano turche, è usata in tutta la vasta area un tempo controllata dall’Impero Ottomano, e quindi anche in altre lingue altaiche come l’azero (dolma), in lingue caucasiche come il georgiano (ტოლმა), indoeuropee come il greco (ντολμάς) e il farsi (دلمه), e semitiche come l’arabo (دوُلما).

L’impero Ottomano alla sua massima espansione

Ecco, se non vi siete sfavati dopo la scivolata linguistica che nei miei post è sempre in agguato, continuo con argomenti meno ipnoinducenti.

La commistione linguistica riflette ovviamente una situazione di commistione etnico-culturale, e a seconda di come questa situazione si presenta è possibile trarre delle conclusioni.

In Svezia innanzitutto l’immigrazione è una realtà davvero massiccia.
Ho cercato delle statistiche ma non le ho trovate, anche perché penso che non sia semplicissimo quantificare la realtà della situazione, perché dipende da vari fattori, es. dalla facilità con cui si ottiene la cittadinanza, dai livelli di immigrazione clandestina (piccolo inciso: in Svezia i clandestini non hanno diritto alla sanità, anche se quest’estate è stata avanzata una proposta di legge per curare anche loro, porelli, sia mai che infettino gli altri), da chi poi ritorna in patria, etc.

Comunque, anche se non ho dati alla mano fidatevi, sono tanti.

Bene, gli svedesi si sono sempre pavoneggiati (oddio, riuscite a immaginarlo?!) di essere un grande melting pot in cui i bambini giocano tipo pubblicità dei Ringo, dove i confini sono solo nella nostra mente e siamo tutti figli dell’universo e dobbiamo amalgamarci insieme, etc.

PURTROPPAMENTE, avvenimenti recenti e meno recenti dimostrano che, ecco… non è esattamente così. Forse anche stavolta cari viKi, avete peccato di hýbris e credete il vostro paese leggermente più ganzo di quello che davvero è.

Allora, innanzitutto una cosa di cui non si parla mai è la grande sterilizzazione di massa avvenuta tra il 1945 (sì dai, la scusa del nazismo nel ’45 non ce l’avevate più, rassegnatevi) e il 1975.
1975 vuol dire che i Beatles si erano già sciolti. Rendiamoci conto.

Di questo gli svedesi non parlano volentieri, ma è una cosa abbastanza semplice da spiegare: la sorridente socialdemocrazia sterilizzò 63mila persone in 40 anni (90% donne, che tanto se la ripassano sempre peggio) per garantire uno stato sociale migliore.
Inizialmente venivano sterilizzati ‘solo’ disabili, persone con comportamenti sessuali promiscui e mamme single (sì, questi erano i loro anni ’60), però poi ci si chiese: e perché non i negri? E quindi si iniziò a sterilizzare anche persone di etnia non grata.

E chi vince a mani basse nella storia per averlo preso in culo sempre e comunque? No, non sono gli ebrei, anche se sì insomma, è la prima cosa che viene in mente.
Riflettete ancora e pensate ad un altro ceppo etnico, anch’esso finito massicciamente nei lager, che però non ha giorni della memoria, commemorazioni, film di Spielberg, assolutamente non circondato da un senso comune e interiorizzato di simpatia e difesa (anzi)…
Esatto bravi, i rom.

Tra l’altro l’anno scorso i cristiano-democratici (l’UDC svedese) hanno timidamente proposto di far sterilizzare i transessuali, ma qui andiamo off topic.

Per quanto riguarda gli avvenimenti più recenti, certo, senz’altro questi sono molto meno nazisticamente sistematici, ma insomma, destano preoccupazione: i quartieri-ghetto per immigrati di Malmö (come il ridente distretto di Rosengård, quello di Ibrahimovic, dove i vigili del fuoco non si muovono senza scorta della polizia) sono diventanti praticamente zona di guerra, il partito Sverigedemokraterna (per la serie: e menomale siete demokraterna, se no erano cazzi acidi), una specie di nazi-fasci-Lega, due anni fa ha ottenuto i seggi in Parlamento ed è in crescita costante…
Insomma, la situazione è tesa anche nel biondomondo.

Una cosa che a me ha particolarmente sconvolto, ritornando alla linguistica, è la presenza di una specie di creolo.
Allora, brevemente, le lingue pidgin sono lingue che derivano da un contatto costante tra parlanti di lingue diverse, soprattutto in seguito alla colonizzazione.
Es. io uomo bianco trascino schiavi da India, Cina e Kenya sull’isola di Tongatapu e a suon di fucilate nei piedi gli chiedo la cortesia di costruirmi una capanna: con un’arma da fuoco appoggiata su una tempia vedrete che inizieranno ben presto a comunicare, creando una lingua mista che abbia come sostrato quella che parlo io, visto che a loro interesserà principalmente compiacere me, più che ciaccolare dei cazzi loro, e in più innumerevoli elementi non solo lessicali, ma anche morfologici e sintattici, delle loro madrelingue, per poter cooperare per il raggiungimento della mia felicità.

Se poi questi parlanti insegneranno questa lingua ai loro figli, da lingua pidgin si passerà a lingua creola, che è come il pidgin ma ha la grande differenza di essere una lingua madre per un parlante.

Ora, in Svezia la situazione è lievemente diversa, ma il meccanismo è sorprendentemente simile.
Questo socioletto (dialetto differenziato in base al gruppo sociale, non al luogo) è un fenomeno linguistico sorto intorno agli anni ’80, definito in vari modi, uno più simpatico dell’altro:

  • Invandrarsvenska = svedese degli immigrati. Che siano cinesi, italiani, egiziani, aborigeni, è irrilevante.
  • Miljonsvenska = dal Programma Milione, programma di alloggi attuato in Svezia tra il 1965 e il 1974 dal Partito Socialdemocratico Svedese, che tra un ferro rovente inserito nella vagina di qualche giovane fanciulla e un altro, volle costruire un milione di nuove abitazioni-casermoni per rinchiuderci gli stranieri.
  • Förortssvenska = svedese dei sobborghi. Perché la gente che puzza mica la mettiamo in centro, che ci rovina l’immagine.
  • Rinkebysvenska = dal nome di Rinkeby, un sobborgo di Stoccolma che conta circa 15.000 abitanti, 89% dei quali immigrati di prima o seconda generazione.
  • Shobresvenska = lo svedese dello “Sho bre!”, in invandrarsvenska “Ciao fratello!”.

La bellissima Rinkeby

Oh, comunque la Norvegia riesce a fare persino di peggio.

Anche lì infatti c’è questo curioso fenomeno, e il nome che viene dato a questa forma linguistica è, udite udite: KEBABNORSK!
Sono immigrati = fanno kebab. E questa definizione la troviamo tranquillamente anche nei libri di scuola, insomma, non è considerata offensiva. Poi ci si meraviglia di un Breivik?

BTW, la cosa agghiacciante è che l’invandrarsvenska non cambia molto tra città e città.
Nel senso, l’invandrarsvenska di Göteborg non è poi così differente da quello di Stoccolma e Malmö.
Certo, ci saranno delle piccole variazioni di accento, ma in generale, pur essendo fatto di termini presi da diverse lingue (in testa arabo, turco, serbo-croato, romaní, ma anche inglese e spagnolo) in contesti di segregazione razziale, perché di questo si tratta, gli immigrati che parlano questo tipo di svedese, che vengano dalla Scania o dalla capitale si capiscono perfettamente.
Ciò porta alla logica conclusione che gli immigrati si spostano molto, ma stanno sempre tra di loro.
E all’altrettanto logica conclusione che non formano gruppi chiusi come può essere una China town o un quartiere marocchino, etc. ma gruppi aperti a patto che siano costituiti da NON svedesi, o anche da svedesi molto poveri e disagiati che vivono in queste periferie, diciamo quella fauna umana che negli Stati Uniti (famosisssssssimi nel mondo per la tolleranza razziale) viene definita white trash, come se fosse un ossimoro. Voglio dire, non ci sarebbe niente di strano se la trash fosse black, neanche lo staremmo a specificare, ma cazzo se è white allora va rimarcato!

Ecco, questo e la mia esperienza personale mi hanno permesso di formulare l’idea che la Svezia NON sia un paese razzista.
Mi spiego meglio: se sei nero, quindi palesemente diverso dal viKi stereotipo, ma parli con l’accento bene di Stoccolma, ti vesti come un cugi e vai nei locali yeah, non vieni discriminato particolarmente. Magari in qualche posto particolarmente di merda da qualche persona con un cervello particolarmente di merda, sì, ma comunque non in modo rappresentativo.

Ma se sei anche biondo e bianco e ti chiami Sven Svensson, ma ti collochi su una linea di diversità, ad esempio parlando l’invandrarsvenska, sei in un mondo a parte. Un mondo che tendenzialmente non si vuole frequentare più di tanto, un mondo di cui non si parla, un mondo che fa paura, o che viene deriso, un mondo che nella storia è stato oggetto di tanti allegri genocidi. Il mondo del “diverso da me”.

E guardate, senza andare tanto lontani, basta essere italiani: a me mi hanno fermato all’aeroporto in modo molto brusco (a Skavsta c’è la stanza della perquisa per scuri, eravamo io e altra gente etnica a svuotare le valigie, i biondi passavano tutti tranquilli), nei luoghi di cazzeggio mi hanno dato della mafiosa reiterate volte, a lavoro mi hanno dato della ladra (N.B. era sparita una penna del valore commerciale prossimo allo zero e si è dato per scontato che la avessi presa io… lo sapete cosa potete farci con le vostre penne?!), mi hanno preso per il culo in ogni modo possibile, anche su cose che non ci combinavano un cazzo, mi hanno detto perfino che la pizza italiana fa schifo, mi hanno fatto piangere, e sentire piccola e sbagliata.

Questa è stata la mia esperienza tra Uppsala, Linköping e Stoccolma; è per quello che io spero sempre in Göteborg. Magari sono stata sfortunata, o sono davvero una stronza e il mondo mi odia, magari somiglio alla sorella carina di Provenzano, chissà.

Una volta perfino un tipo che mi sembra di ricordare che fosse turco, ma insomma comunque un non nativo, mi disse in un pessimo inglese: We are the best, Italians are all bastards. Quindi ecco, lui era decisamente inserito nel mondo viKi, al contrario di me (ecco anche perché i concetti di ‘Unione Europea’ e di ‘extracomunitario’, mi fanno davvero ridere le balle).

Comunque sia, analizzando questi poco piacevoli avvenimenti, mi sono resa conto che in Svezia il problema non è il razzismo, ma la xenofobia: sì, puoi essere nero, te lo concediamo, ma è meglio se non lo fai notare troppo, e ti comporti facendo finta di essere biondo.

INGREDIENTI PER CIRCA 15 DOLMAR (4-5 persone)

Per il risgrynsgröt:

  • 1/2 dl d’acqua
  • 20 gr. di riso Jasmine
  • 5 gr. di burro
  • 50 gr. di latte intero
  • mezzo cucchiaino di cannella

Per gli involtini:

  • 1 cavolo cappuccio bianco piccolo
  • 2 cipolle bianche
  • 20 gr. di burro
  • 150 gr. di macinato di manzo
  • 150 gr. di macinato di maiale
  • 1,5 dl. di latte intero
  • 2 uova
  • un pizzico di pepe nero
  • un pizzico di noce moscata
  • sale q.b.
  • un cucchiaio di zucchero

Per la salsa:

  • 5 cucchiai di zucchero
  • 15 gr. di burro
  • 25 gr. di panna fresca
  • 1 cuore di brodo
  • 2 bicchieri di latte intero
  • 1 cucchiaio di fecola di patate
  • 1 cucchiaio di farina

Per servire:

  • 12-15 piccole patate
  • marmellata di lingon

PREPARAZIONE

Innanzitutto fare il risgrynsgröt mettendo in un pentolino piccolo con i bordi alti l’acqua, il riso e il burro. Portare a ebollizione e far bollire a fuoco bassissimo per 5 minuti, circa. Poi aggiungere il latte e la cannella e far bollire per altri 20-25 minuti, mescolando spesso e facendo attenzione a non fare attaccare il riso alla pentola.

Far bollire il cavolo in abbondante acqua salata per circa 15 minuti e poi staccare 15 foglie. Farle asciugare bene.

Far soffriggere le cipolle tagliate finissime in circa 10 gr. di burro. In una terrina mescolare il risgrynsgröt, la carne, il latte, le uova, il pepe, la noce moscata e aggiungere le cipolle.

Far scaldare il forno a 225 °C.

Prendere a pugni il composto e fare 15 palline che andranno messe ognuna in una foglia di cavolo. In tutte le ricette pare che per fare gli involtini si debba togliere la parte dura della foglia, arrotolare, e poi magicamente l’involtino viene da sé. Io ho avuto delle difficoltà nel farli carini, per cui insomma, arrangiatevi. Magari aiutatevi con uno stuzzicadenti.

Foderare una teglia di carta da forno bagnata e strizzata e adagiare gli involtini. Sciogliere i restanti 10 gr. di burro in un pentolino piccolo, cospargere gli involtini e spolverarli con lo zucchero.

Far cuocere nel forno per 30-35 minuti.

Quando saranno pronti preparare la salsa: raccogliere il sughetto che si sarà formato in un pentolino, aggiungere lo zucchero, il burro, la panna e il cuore di brodo. Con il fuoco molto basso, far sciogliere il cuore di brodo.

In una tazzina da caffè far sciogliere la fecola con pochissimo latte e aggiungere alla salsa. Aggiungere il resto del latte e il cucchiaio di farina setacciata.

Tenere sul fuoco finché la salsa non si addensa (per farla più densa aggiungete la fecola ricordandovi di scioglierla a parte; per farla meno densa aggiungere latte).

Servire con le patate lesse e l’immancabile marmellata di lingon.

Kåldolmar pronti!

Buon appetito!

I.

Faccio l’accento svedese? Errori di pronuncia, culto del sole e vaniljsås…

Mia mamma mi ha detto diverse volte (perché è anziana e ripete le cose in loop) di una pubblicità, che passavano nella sua epoca antidiluviana, di un viKingone biondo nudo dentro una tinozza su uno sfondo bucolico che diceva la seguente frase: “Mai proFata la primaFera in ScanTinaFia? PROFA!“.

Ora, non so cosa esattamente pubblicizzasse, forse turismo sessuale, però mi ha colpito il fatto che l’accento riprodotto fosse tendenzialmente tedesco… Come il discorso di insediamento di Razzinghe’, il ‘”Zemplice umile laForatore nella Figna di Zignore”.

Ho notato che l’accento svedese ha sempre attirato questo misunderstanding, ovvero l’idea che la lingua svedese fosse più o meno come il crucchese. Arrivano puntuali, sono alti e biondi e rispondono “Ja” per dire sì, stessa roba.

Niente di più sbagliato.

L’accento svedese è diverso. E’ musicale, dolce, piacevole a sentirsi. Con questo non voglio dire che l’accento tedesco non lo sia…

Anzi, sì cazzo, voglio dire proprio questo! Il tedesco non è musicale per niente. E’ bello, è pulito, è nitido e scandito, ma dai, solo Mozart ha potuto rendere il tedesco armonioso. Dopo di lui non ce l’ha fatta nessun altro, forse solo Nena con 99 Luftballons e la mia ex coinquilina bavarese Lina, la ragazza più dolce del pianeta.

Comunque sia, ascoltando le recenti pubblicità radiofoniche dell’IKEA ho notato che l’accento usato è sorprendentemente svedesissimo, stoccolmese per l’esattezza, ovvero pieno di r mosce e di iiiiii strettissime, snob quant’altri mai.

Questo vuol dire che la conoscenza dell’italiano medio verso la lingua svedese ha comunque subito un upgrade. Insomma, dai tempi di Fantozzi che faceva l’accento svedese ne è passata di alce sotto i ponti.

Comunque, a parte l’accento e il biondo nudo nella tinozza, la primaFera in ScanTinaFia è davvero bella, forse il periodo migliore per andare in Svezia, perché è tutto pieno di fiori, i prati sono verdi, ed è bellissimo vedere l’entusiasmo dei viKi che appena vengono colpiti dai deboli fotonucci di un nordico sole d’aprile non capiscono più un cazzo.

E’ come se ci fosse ancora il culto egizio del Sole: si denudano, vanno a giro con dei pantaloncini improbabili, ignorando la cellulite provocata dai chili di burro che ingurgitano e il buon gusto, e si mettono a prendere il sole così, in piedi, seduti, sdraiati, dove capita, come i rettili. Sono adorabili. E poi tornano a casa con il naso rossissimo e non si capisce se è perché sono sbronzi (opzione molto probabile) o se si sono bruciati per 10 minuti di sole pur avendo usato la cremina a protezione 97, che teneri.

Kungsträdgården, parchetto nel centro di Stoccolma dove i viKi sono soliti fare i girasoli

La primavera nordica è bella anche per tutti i dolci che comporta… E per la frutta di stagione, anche se comunque, essendo una nazione che tendenzialmente importa frutta, per ovvie ragioni climatiche, la frutta primaverile la trovate più o meno sempre, non solo a primavera.

E che cosa c’è di più bello che rendere le cose salubri immondamente grasse? Voglio dire, se Adamo ed Eva furono cacciati dal paradiso per una pidocchiosissima mela è perché avevano intuito le potenzialità di quell’insulso frutto. Quale divinità sana di mente si incazzerebbe così tanto per una mela? Doveva esserci qualcosa sotto.

E comunque, se proprio dobbiamo spaccare il capello in quattro e affrontare un dibattito teologico, se il padre eterno non avesse voluto che i due umani toccassero il frutto proibito, poteva anche fare a meno di dire loro: “Toccate tutto tranne questo”. Nel senso, in un posto dove c’è TUTTO, dove stai da dio (giustappunto) e non soffri mai, cosa te ne frega di rovinarti la vita per una mela? Certo è che se ti dicono che puoi fare tutto tranne quella cosa minimale, parliamoci chiaro, non ti viene subito la voglia di fare proprio quello? Si chiama sfidare i limiti intellettuali che ti vengono imposti, domandandosi un banale: “E se invece lo facessi lo stesso?”, chiunque di voi sia mai stato adolescente mi capirà.

Quanto vi piacerebbe averlo per non dover leggere tutta la ricetta, vero? Ma in Italia non si trova, peccato…

Ma a parte i miei prolissi quanto inutili incisi, converrete con me che la vaniglia sulla mela è la morte sua, o no?

Bene, e a questo proposito viene la ricetta di oggi, la vaniljsås (salsa di vaniglia). Una salsa dolce e buonissima che si può versare a litrate su ogni cosa.

Curiosità: in Svezia si trova già pronta, come tutto, del resto, e si chiama Marsán, marchio registrato della ditta Ekströms, fondata a Örebro nel 1848. Bello vero? Quando in tutta l’Europa imperversavano i moti rivoluzionari, in Svezia si pensava a sbafare dolci

BTW, a parte le suddette mele (e tutto ciò che ne consegue: strudel, mele cotte con la cannella, torta di mele, muffin alle mele, etc.), secondo me la vaniljsås sta bene sul gelato alla frutta, sull’ananas, sulle fragole, sulla macedonia, sulla torta della nonna, sulle crostate di frutta e su altri milioni di cose… Lo diceva anche Shakespeare: “Ci sono più dolci in cielo e in terra, Orazio, di quanti ne sogni la tua filosofia“.

INGREDIENTI PER 1/2 LITRO DI SALSA:

  • 1 uovo
  • 35 gr. di zucchero a velo
  • 2 cucchiaini di fecola di patate
  • 3oo ml. di latte intero
  • 1 bacca di vaniglia
  • 300 ml. di panna fresca da montare
  • 1 cucchiaio di zucchero

PREPARAZIONE:

Rompere un uovo in un pentolino e aggiungere lo zucchero a velo. Sbattere l’uovo e lo zucchero con una forchetta e quando non ci sono più grumi aggiungere la fecola di patate e il latte.

Tagliare nel senso della lunghezza la bacca di vaniglia, raccogliere i semini con un cucchiaino e metterli nel pentolino. Mettere anche la bacca e portare a ebollizione a fuoco medio-basso.

Quando la salsa inizia a rapprendersi abbassare il fuoco e mescolare continuamente per evitare che si attacchi sul fondo. Quando inizia a fare le bolle spengere il fuoco e far raffreddare. Togliere la bacca intera.

A parte, montare la panna con lo zucchero.

Quando la crema è a temperatura ambiente aggiungere la panna montata e mescolare delicatamente.

Con questa ricetta la salsa viene discretamente densa, per diluirla aggiungere latte a piacere.

Vaniljsås pronta!

Buon appetito,

I.

Un Gotländsk Saffranspannkaka per Pippi Calzelunghe

La ricetta di oggi è una tipica ricetta regionale del Gotland.

I faraglioni del Gotland

Il Gotland è un bell’isolone del mar Baltico, che pare sia bellissimo, ma io non ci sono mai stata, quindi presumo lo sia ma non so dirvi niente di più. So che il suo paesaggio prevede una specie di faraglioni tipo Capri che sono molto belli, e che ha un casino di specie di orchidee e altre strane piante che crescono solo lì.

L’unica cosa che so per certo sul Gotland comunque, in virtù della mia condizione esistenziale di nerd, è che in quest’isola è parlato un dialetto svedese molto particolare, conosciuto come gutnico, che si ritiene essere la lingua germanica rimasta più vicina al gotico, ormai scomparso.

Un esempio di gutnico è presente nella Gutasaga, una saga sulla storia del Gotland che, come tutte le saghe, inizia più o meno con: “Io sono Pdorrr, figlio di Kmerrr, della tribù di Istarrr, della terra desolata di Kfnirrr”, etc.

Il gutnico è considerato come un ceppo linguistico a sé stante, proprio per degli esiti propri che si discostano dalle altre lingue scandinave antiche; comunque della dissertazione tra lingua e dialetto non sto a parlare, anche perché non c’è nessun criterio linguisticamente scientifico che stabilisca quando una lingua è una lingua e quando è un dialetto (cari i miei amici sardi e friulani)… e come il simpaticone Noam Chomsky sostiene: “Una lingua è un dialetto con un passaporto e un esercito”.

Bene, a parte per il gutnico (che non se lo caga nessuno a dire la verità, nonostante, a stretto livello personale, infilare la parola “gutnico” in una frase mi faccia sentire una spanna sopra gli altri), il Gotland è famoso per la sua celeberrima abitante, Pippilotta Viktualia Rullgardina Krusmynta Efraimsdotter Långstrump, ovvero Pippi Calzelunghe.

Pippi Calzelunghe con scimmia

Per la serie “storie di vita vissuta”, la Pippi fu la prima delusione d’amore di mio fratello, che da piccolo adorava la serie e voleva sposarsi con lei… finché mio cugino gli disse che l’attrice (Inger Nilsson) ormai era già vecchia perché la serie era degli anni ’70. Dopo aver meditato l’impiccagione e aver pianto per mesi, mio fratello se ne fece una ragione e bona lì.

Pippi Calzelunghe (che somiglia vagamente al calciatore John Arne Riise) è il personaggio letterario più conosciuto di Astrid Lindgren, famosa scrittrice svedese di libri per l’infanzia, in onore della quale nel 2002 la Svezia ha istituito un premio di circa 540.000 euro per la letteratura per bambini e per ragazzi. Pippi è una simpatica ragazzina protofemminista: è fortissima, ricchissima, e vive da sola a Villa Villacolle alla facciaccia di tutti, soprattutto a quella dei suoi vicini, due gemellini obbedienti e diligenti, che però non hanno il becco d’un quattrino e devono tornare a casa da mammeta. L’ordine costituito prova a più riprese a infilarla in un orfanotrofio, ma la nostra libertaria lentigginosa semplicemente non ci va. Ha un cavallo e una scimmia che ogni tanto solleva così a caso per far vedere quanto è muscolosa e ganza, e mangia un sacco di schifezze. Insomma, stacci di lusso.

Come nascono poi tutte le storie più belle, le vicende di Pippi erano raccontate da Astrid Lindgren alla figlia prima di addormentarsi. Una volta che si era rotta una gamba e si annoiava a casa, la nostra Astrid decise di raccogliere tutte le storie di Pippi e di farne un libro, lo propose qua e là, e nel ’45 il libro venne pubblicato (e poi nel tempo tradotto in un centinaio di lingue).

Ovviamente, dopo avervi raccontato la storia di Bamse in questo post, avrete capito che gli svedesi hanno tempo da perdere sul criticare i libri per bambini, e anche Pippi non ha fatto eccezione: è immorale, insegna a non obbedire, sfida l’autorità, è emotivamente disturbata, etc. Cose su cui non vale la pena soffermarci, no?

Oltretutto, Pippi, ragazzina solitaria, stramba e forte, si dice abbia influenzato Stieg Larsson per il suo personaggio di Lisbeth Salander, e in effetti nella trilogia questo richiamo è più volte esplicitato, così come quello tra Mikael Blomkvist, protagonista sempre della trilogia di Millennium, e il semi-omonimo Kalle Blomkvist, altro personaggio di Astrid Lindgren, detective bambino molto intelligente, protagonista di una miniserie di libri per l’infanzia.

Villa Villekulla a Visby

Nel libro Pippi, non si sa come né perché, approda a Visby, la maggiore città del Gotland, ed è lì che si ambientano le sue avventure. Visby è sito patrimonio dell’UNESCO in quanto borgo medievale meglio conservato in Scandinavia… dovrò andarci prima o poi. Oltretutto c’è la Villa Villacolle dove la serie fu girata, quindi un tour triste della Casa di Pippi prima o poi me lo farò. Io AMO i tour tristi.

Senza dubbio a Pippi sarà capitato nella vita di mangiare il Gotländsk Saffranspannkaka, piatto tipico dell’isola, ovvero un dolce di riso, mandorle e zafferano da servirsi tradizionalmente con panna fresca montata e marmellata di salmbär, che sarebbe una variante tutta gotlandese del blåhallon, bacca della stessa radice della mora di rovo.

Siccome Wikipedia non mi dà la traduzione esatta in italiano di blåhallon, ho usato la marmellata di more, presumendo che sì insomma, tutte le bacche alla fine sanno di bacche. Inoltre molte ricette ammettono la sostituzione del salmbärssylt, ovvero la marmellata di questa particolare bacca, con mirtilli, o more, o lamponi, o fragole, etc. Quindi, cvd ho sempre ragione io.

La ricetta non è difficile, è solo un po’ noioso aspettare che la sbobba di riso si raffreddi dopo la cottura, perché io ci ho messo un pomeriggio.

Praticamente dovete prima fare un porridge di riso, in svedese chiamato risgrynsgröt, a cui poi aggiungere gli altri ingredienti.

E’ un piatto singolare già da solo. Innanzitutto è molto buono anche senza essere usato come base per il saffranspannkaka (ad esempio, servito caldo sui Pavesini deve starci benissimo), ma poi ha una storia interessante alle spalle.

E’ un piatto natalizio, e non solo in Svezia, ma anche in Danimarca e Norvegia. In Danimarca ad esempio usa aggiungere a questo porridge una mandorla intera, e chi se la ritrova nel piatto si becca un regalo in più, il regalo della mandorla.

La cosa strana (e, a mio modesto parere anche ai limiti del disgustoso), è che questa dolciata assurda (latte, riso papposo, zucchero e cannella), viene servita così normalmente tra i piatti principali del buffet di Natale. Ovvero voi vi fate un bel piattino con: aringhe alla cipolla, prosciutto e mostarda, porridge di riso dolce, polpettine, salmone, etc. Sembra il gioco del “trova l’intruso”, ma tragicamente non lo è…

Io ho provato questa esperienza perché sono curiosa ed è più forte di me azzardare cose no limits. In effetti la sensazione era proprio come ve la immaginate: un sapore che non c’entrava un cazzo con il resto. Però preso da solo a me piace un casino. E’ tipo budino di riso, e io ci ho fatto colazione per tutte le mie vacanze di Natale in Svezia.

Sbobbone di riso bell’e pronto

Diciamo che gli svedesi se la ripassano meglio perché in Svezia questa sbobba viene venduta in dei bei salsiccioni preconfezionati (i viKi non hanno tempo da perdere, e nei loro super-supermercati trovano sempre tutto bell’e pronto), mentre io ho dovuto amorevolmente farlo solo per voi.

Comunque, come vi ho già detto non è difficile, è solo palloso doverlo mescolare e poi, e anche questo l’ho già detto, farlo raffreddare.

In teoria il riso da usare sarebbe il mai sentito nominare “riso glutinoso“, credetemi che la buona volontà per trovare questo tipo di riso ce l’ho messa tutta, ma non l’ho trovato. Ho quindi preso un riso lungo, orientale e profumato che non era il Basmati, ma il riso Jasmine. Il sapore del porridge era uguale a quello che ho mangiato in Svezia, quindi evidentemente andava bene.

Comunque sostanzialmente una volta raffreddato mischiate tutti gli altri ingredienti e infornate. Il risultato è un dolce morbido, niente affatto secco, e strano, perché lo zafferano lo rende innanzitutto giallo e quindi carino, e poi, insomma, lo zafferano nei dolci secondo me è avanti. Anche un altro tipicherrimo dolce svedese prevede l’uso di zafferano, ma non ve lo dico adesso sia perché non è stagione, e poi perché non voglio spararmi tutte le mie cartucce subito.

Ah, vi informo che stavolta NON ho montato la panna né a mano né con il frullatore, ma con le fruste elettriche come tutti i cristiani, evitando così di rovinare un’altra volta il trackpad del Mac, che non era il caso, come feci con la mia primissima ricetta, quella dei semlor

Non sapete quante me ne fa passare questo blog.

INGREDIENTI PER CIRCA 8 PERSONE:

Per il risgrynsgröt:

  • 4 dl. d’acqua
  • 175 gr. di riso Jasmine
  • 1/2 cucchiaino di sale
  • 400 gr. di latte intero
  • 1 stecca di cannella
  • 1 cucchiaino di cannella in polvere
  • 40 gr. di burro

Per il resto dell’impasto:

  • 4 uova
  • 100 gr. di zucchero
  • 50 gr. di mandorle affettate
  • 0,5 gr. di zafferano
  • (eventualmente aggiungere dai 50 ai 100 gr. di latte se il composto fosse troppo denso)

Per farcire:

  • circa 300 ml. di panna fresca
  • 8 belle cucchiaiate di marmellata di more

PREPARAZIONE:

Mescolare acqua, riso, sale e burro in una pentola larga e portare a ebollizione. Bollire con il coperchio per 10 minuti a fuoco basso.

Togliere dal fuoco e aggiungere il latte, la cannella e portare nuovamente a ebollizione.

Fare bollire poi a fuoco bassissimo con il coperchio per circa 40 minuti e mescolare abbastanza spesso (fate attenzione a non bruciarlo se no fa schifo).

Far raffreddare (preparandovi a invecchiare nel tempo che il composto raffredda).

Una volta raffreddatosi il risgrynsgröt, preriscaldare il forno a 175°. Imburrare bene una pirofila rotonda discretamente grande e aggiungere al risgrynsgröt raffreddato le uova, lo zucchero, le mandorle e lo zafferano. (Diluire con un pochino di latte se vi sembra troppo denso).

Mettere tutto nella pirofila imburrata e infarinata e cuocere nel forno per circa 40 minuti, o comunque finché non abbia un bel colore giallo scuro.

Lasciar raffreddare un pochino e servire con panna fresca montata con un pochino di zucchero e marmellata di more.

Gotländsk Saffranspannkaka pronto!

Buon appetito!

I.

Di potatismos, viKi-scuola e bandiere.

Sto latitando in questo periodo, perché voi pensate che io sia una nullafacente (che in realtà poi è anche vero), però cari miei sappiate che anche i nullafacenti attraversano il periodo-sessione-d’esami, e in quei periodi è meglio sospendere l’autocompiacimento verso le proprie stronzate e fare qualcosa di utile.

Vabbè ok, la mia resipiscenza è durata come un gatto sull’Aurelia, dato che mi sono appena messa a scrivere ‘ste cazzate.

E quindi alé, si parte, e oggi parliamo del (o della) potatismos, o meglio del purè di patate. Potatis = patate; mos = purea.

Potrei anche non insegnare a nessuno a fare il purè, e sembrerei meno ridicola, ma siccome quello italiano non l’ho mai fatto (l’unica al mondo, aggiungerei) metto la ricetta lo stesso perché sia mai che quello svedese sia diverso. Si vede che sono poco creativa in questi giorni, vero?

Vi giuro, la prossima ricetta sarà meno inutile. D’altronde scusate, esiste anche il purè nel mondo, poverino. E poi in Svezia lo infilano praticamente nel biberon ai bambini, quindi è un must della cucina viKi. (Ah, attenzione, in Svezia è altresì molto frequente aggiungerci il ketchup, io vi prego, se mi volete un pochino di bene, di non farlo).

Ho pensato giorni e giorni ad un argomento da collegare al purè per questo post… e non ho trovato niente. Dei mille modi di chiamare le patate ve ne ho parlato qui, così come dell’Accademia della patata… Ho fatto le solite battutine idiote sulla patata (così come non mi sono persa neanche la fika, tranquilli), e mi sono detta da sola di essere una grande simpaticona.

Per cui ora mi guardo intorno mestamente e ammetto con tutto il candore di questo mondo che non riesco a pensare a niente da dirvi che si possa ricollegare al purè. Vuoto totale. Encefalogramma piatto.

In realtà vorrei tanto parlare di una cosa che non c’entra proprio nulla con le patate, e a tal proposito vi sbatto in faccia il fatto che l’altra sera la mia amica Gemma mi ha detto di fottermene di cercare collegamenti e mi ha consigliato di fare un po’ come cazzo mi pare. Quindi con la benedizione della Gemma vi parlerò della scuola svedese.

Sì, scuola svedese & purè di patate, avete sentito bene. Se c’è qualcosa che non vi torna, andatevi a leggere il blog di Benedetta Parodi e non mi rompete le scatole, io so quello che faccio.

Quali sono le prime associazioni mentali quando pensate alla scuola in Svezia? Bene, non ne ho idea, ma so di sicuro che saranno sbagliate

Schemino della scuola dell’obbligo svedese

Il sistema scolastico svedese infatti somiglia molto a quello italiano, quindi è inutile che vi fate tante pippe mentali su come potrà mai essere la scuola nel regno del Welfare. E’ più o meno la stessa zuppa, anche se nettamente diversa è la scansione dei livelli scolastici all’interno della sua durata complessiva. In Italia (cosa ve lo dico a fare?) abbiamo 5 anni di elementari, 3 anni di medie, 5 anni di superiori. In Svezia invece 3 anni di livello inferiore, 3 anni di livello medio, 3 anni di livello superiore, 3 anni di ginnasio.

Eh sì, in Svezia si studia un anno meno, e si entra a scuola a 7 anni. Immagino la pacchia per i ragazzini.

Nei primi anni di scuola elementare e media le differenze tra Svezia e Italia sono minime. Maestro unico alle elementari, scuole private con finanziamenti dallo Stato, maestre donne sia per tradizione sia perché i salari sono più bassi, etc. Cose a cui siamo abituati anche noi terroni, insomma…

Cosa a cui non siamo abituati invece sono: 1) non è la scuola a decidere di bocciare un bambino, ma i genitori (LOL) 2) si può avere come insegnante il proprio genitore (altro LOL).

La scuola superiore invece è abbastanza diversa: non c’è un aula fissa ma ci si sposta di aula in aula a seconda della lezione. In realtà questo lo facevo anche io, però non vale, perché io ho fatto un Istituto d’Arte, e quindi ero figa. Tutti gli altri che non hanno avuto l’onore di essere fighi come me hanno avuto l’auletta sgrausa con sopra scritto il nome della classe. Ben vi sta.

Altra cosa FONDAMENTALE: non c’è l’esame di maturità! E yuhuuuu, altra pacchia.

Immaginatevi adesso di avere un fischietto tricolore al collo. E ora vergognatevi pure.

La fine della scuola (detta studenten) in Svezia infatti consiste semplicemente in: mettersi un cappellino da marinaio in testa (studentmössa: Wikipedia mi dice che mössa vuol dire toque… boh, ai mi’ tempi si chiamava “cappello”), fare casino, sbronzarsi (strano), molto frequente è finire la giornata con delle celebrazioni in chiesa (eh sì, questi problemi ce li hanno anche lassù), e poi altrettanto comune è vestirsi da damerini anacronistici per il ballo di fine anno. Sì, la puttanata americana del ballo di fine anno c’è anche in Svezia, e il mio Jansson l’ha fatto. Ve lo dico solo perché se lo incontrate dovete prenderlo per il culo per questo, davvero, se lo merita 😉

Altra cosa della festa di fine scuola: ognuno si porta addosso da qualche parte, ci addobba la propria casa, ci farcisce le torte, e si tatua anche sulla pelle, magari, l’onnipresente bandiera svedese. Sì, in Svezia ti abituano fin da piccolo a questa associazione pavloviana: festa = Svezia. Poi uno si meraviglia che sono nazionalisti a manetta, per forza, da quando sei nato ti installano nel cranio un chip giallo e blu. Comunque della storia delle bandiere in-tutti-i-modi-in-tutti-i-luoghi-in-tutti-i-laghi, ne riparleremo presto, perché è un discorso che merita approfondimento.

Tizio che si trascina addirittura il bandierone a giro.

Non vi sto invece a parlare del livello qualitativo della scuola perché 1) scio segam 2) dipende troppo da città e città e da scuola e scuola 3) allo stesso modo che in Italia ci sono punte di scuole buonissime e punte di scuole di merda 4) non ne ho voglia.

La cosa di cui vi voglio invece parlare è del periodo in cui si va a scuola.

Dunque, l’anno scolastico inizia il 20 Agosto! Poveracci! E’ anche vero che se non hai l’estate cosa te ne frega di stare a romperti a casa? Meglio la scuola. Finisce il 15 giugno anche da loro, ma hanno più feste durante l’anno scolastico. Pasqua, Natale e fin qui ci siamo. E poi Ascensione, Pentecoste, vacanze di primavera (una settimana a fine febbraio) e vacanze d’autunno (una settimana a fine novembre).

E parliamo così delle vacanze di autunno… Anche in Danimarca i ragazzetti a scuola hanno questa settimana di kazzing estemporaneo, e indovinate da cosa viene? Dalla raccolta delle patate!! E così frego la Gemma e vi trovo anche l’aggancio con la ricetta.

Praticamente da che mondo e mondo, i bambini in Europa hanno lavorato fino all’altro giorno, no? E in tutte le scuole d’Europa nel periodo dei raccolti a scuola i bambini non ci andavano, perché stavano a π/2 a vangare la terra. Ecco, se da noi i bimbi raccoglievano il grano, mettiamo, in Svezia i bambini raccoglievano le patate.

Quindi questa vacanza venne introdotta nelle scuole per permettere ai bambini di raccogliere le patate senza perdere le lezioni. Che dolci, vero?

E da qui, facendo un altro volo pindarico, vi posso anche dire che per il purè NON si devono usare le patate fresche, ma preferibilmente quelle farinose (tanto andate tranquilli perché in Italia le patate del supermercato fanno tendenzialmente cagare e sono tutte farinose), altrimenti il purè sembra dentifricio.

Questa perla di saggezza viene dalla Jansson superiora, ovvero la mmmadreeee di Sua Biondezza, che in cucina ne sa una più del diavolo, e tra l’altro mi ha recentemente dato una ricetta spettacolare, tipica di un posto spettacolare. Devo ancora farla, quando la smetto di non-studiare ve la faccio.

Dai, dopo una ricetta pallosa come il purè, dovevo stuzzicarvi un po’…

INGREDIENTI PER 4 PERSONE:

  • 12 patate
  • 50 gr. di burro
  • 250 ml di latte intero
  • 50 ml di panna fresca
  • sale
  • pepe bianco
  • noce moscata

PREPARAZIONE:

Sbucciare le patate e bollirle normalmente. Magari fatele a pezzetti prima, così ci vuole meno tempo (vedi: consigli pleonastici).

Asciugare le patate e rimetterle in pentola, schiacciarle e aggiungere il burro, il latte e la panna.

Aggiustare di sale, di pepe e di noce moscata.

Potatismos pronto/a!

Buon appetito!

I.

I piccoli piaceri della vita: colazione al Pressbyrån con caffè e kanelbullar.

Se vi capiterà di camminare per le strade di qualunque città svedese, vi troverete ad incrociare almeno un migliaio di volte un Pressbyrån. Il Pressbyrån è una specie di tabacchino però più grande, dove non si comprano solo sigarette, ma in generale i generi che lo svedese medio ritiene di prima necessità, tra cui:

1) giornali = gli svedesi leggono un casino, dovunque e in qualunque condizione hanno sempre un libro o un giornale in mano, cosa che me li rende alquanto simpatici

2) banane = non ho una spiegazione soddisfacente per questo curioso fenomeno, ma ho notato che è molto frequente vedere gente che mangia banane per strada dopo averle estratte da un oggetto creato all’uopo, il portabanane, un coso imbarazzante a forma di vibratore che ho regalato per Natale a un sacco di gente (tra cui mia madre, che lo nasconde quando ha ospiti perché, cito, “si vergogna”)

3) caramelle = o godis. La Svezia è il paese che consuma più caramelle al mondo: 17 KG L’ANNO A PERSONA (questo vuol dire compresi neonati, vecchi, malati, etc.)! Il 25% dello zucchero assunto da uno svedese medio proviene dalle caramelle, e i kg di zucchero consumati procapite all’anno in Svezia sono 50, ovvero 3 volte la quantità raccomandata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Mi chiedo quanto sia alta la percentuale di dentisti in Svezia. Se ce ne sono pochi vi consiglio un mestiere sicuro

4) hot dog = occhio alle foto del Pressbyrån che ingannano, sono grandi più o meno come un cucchiaino

4) caffè con dolcetto = dove il caffè è il mitico caffè spiscioso nordico, al quale ormai sono ahimé assuefatta, e dolcetto sta per “dolcetto”. La combo costa 20 corone (come si vede nel cerchiettino rosso fatto modestamente da ego, mei, mihi, me, me) ovvero circa 2,25€.

Pressbyrån in tutto il suo splendore (nel cerchietto rosso la combo kaffe+dolcetto)

Per prendere il caffè con il dolcetto dovrete necessariamente avere un incontro ravvicinato del terzo tipo con un macchinario enorme che ricorda i computer di Star Trek, e fare anche tutto da soli e velocemente, oltretutto, perché dietro di voi si sarà già formata una fila di biondi impazienti che sbufferanno e vi guarderanno male.

La macchina infernale per il caffè

Innanzitutto, occhio alla tazza di carta: dovete prenderne soltanto una facendo attenzione a non sfilarne un centinaio che schizzeranno tipo proiettili sulla suddetta fila di biondi, e vi assicuro che non è cosa facile (storie di vita vissuta).

Una volta preso il caffè, se volete metterci un pochino di latte, troverete accanto a voi un banco frigo (anche questo si vede nella foto) dove sono in vendita latte, yogurt, succhi di frutta, bibite, etc., e in cui se fate attenzione noterete un cartone di latte già aperto. Io le prime volte mi scandalizzavo pensando “ma guarda te la gente che ruba sorsi di latte, che oVVoVe!”, poi ho capito che è per metterlo nel caffè (eh sì, è difficile essere me).

Per quanto riguarda il dolcetto avete diverse scelte: 1) brioscina burrosissima, penso il miglior cornetto del mondo, però attenti a mangiarlo tenendolo per metà dentro il sacchetto di carta perché fa un casino di briciole, e voi non volete fare i soliti italiani e sporcare il biondomondo, vero? 2) brioscina burrosissima con upgrade di chicchi di cioccolato, io preferisco la versione solo burro, però anche quella cioccolatosa non è male 3) soltanto a Natale ci saranno i lussekatter ovvero dolcetti natalizi allo zafferano, buonissimi 3) KANELBULLAR, le mitiche, le uniche, girelle alla cannella (kanel “cannella” + bulle “dolcetto arrotondato”).

Scegliete il dolcetto che preferite e infilatelo nel sacchettino che troverete davanti a voi. Ci sono delle apposite pinze per prendere i dolcetti, che gli svedesi del resto non usano mai perché adorano toccare tutto con le manacce sudicie, ma io la uso sempre perché sono una signora (e anche perché così finalmente posso dire un “che oVVoVe” con Vagione, cVibbio!).

Tornando alla nostra ricetta, i kanelbullar sono uno dei dolcetti più orgasmici che la cucina svedese propone. Anzi, no: cazzata. I dolci svedesi sono tutti egualmente orgasmici. Però questi hanno la cannella, per cui sono perfetti con un teino nei pomeriggi di inverno, o la mattina appena svegli per dare una botta di glicemia all’organismo e iniziare la giornata con il sorrisone.

Mentre cuociono nel forno profumano tutta la casa di cose buone, di cannella, di cardamomo… così chi vi viene a trovare viene invaso da immagini dolcissime di nonne ciccione e sorridenti con le mani sporche di farina; e si possono benissimo pucciare nel latte a colazione finché non diventano belli gocciolosi (come il pandoro la mattina del 27 dicembre, quando si è indurito un pochino: chi non lo ha mai provato è uno sfigato).

Altra cosa fantastica dei kanelbullar, meno sognante e più pratica: si possono surgelare. Anzi, in Svezia li vendono anche al supermercato già belli e surgelati, così la domenica che avete tempo vi svegliate belli tranquilli, li schiaffate nel microonde, e alé.

Sono anche molto semplici da preparare, il che non guasta.

INGREDIENTI PER 15 KANELBULLAR

Per la pasta:

  • 25 gr. di lievito di birra
  • 75 gr. di burro
  • 250 gr. di latte
  • 60 gr. di zucchero
  • 1 pizzico di sale
  • un cucchiaino di cardamomo
  • 420 gr. di farina

Per il ripieno:

  • 50 gr. di burro
  • 60 gr. di zucchero
  • un cucchiaio di cannella

Per guarnire:

  • un uovo
  • 40 gr. di granella di zucchero

PREPARAZIONE:

Pasta lievitata

Spezzettare il lievito in una ciotola. In un pentolino far sciogliere il burro e aggiungere il latte, fino a far arrivare

il tutto a 37°C (fate sempre la solita prova del ditino).

Versare un pochino nella ciotola con il lievito finché il lievito non si scioglie, poi aggiungere il resto.

Pasta stesa con una boccia di Falanghina accanto per farvi capire le misure

Aggiungere sale, cardamomo e zucchero. Aggiungere la farina piano piano, facendo attenzione a non metterne troppa altrimenti la lievitazione ne risentirà, e lavorare fino ad ottenere un impasto liscio e morbido.

Coprire con un panno, e lasciare riposare per 45 minuti in un luogo fresco e asciutto e lontano dalla luce diretta del sole (ad es. il forno spento). Nel frattempo preparare il ripieno facendo sciogliere il burro in un pentolino e aggiungendo lo zucchero e la cannella.

Rotolo di pasta con ripieno dentro

Passati i 45 minuti lavorare la pasta ancora un po’ per eliminare le bollicine d’aria che si saranno create durante la lievitazione.

Fare un rettangolo con la pasta lungo più o meno mezzo metro e alto più o meno 20 cm. A questo punto spennellare il ripieno sopra il rettangolo e arrotolarlo.

Rondellina tagliata

Tagliare delle rondelle spesse circa un centimetro e mezzo e appoggiarle ben distanziate tra loro su una teglia coperta con carta da forno.

Coprire e far riposare ancora per 30 minuti.

Nel frattempo far riscaldare il forno a 225 gradi.

Passati i 30 minuti sbattere l’uovo e spennellarlo sopra ogni rotolino, e cospargere con la granella di zucchero.

Cuocere nel forno per 10-12 minuti, o comunque finché i kanelbullar non saranno belli dorati.

Kanelbullar pronti!

Buon appetito!

I.